Non ho sognato armadilli che mi dicevano di mettermi dentro una pentola a pressione nè di essere una bustina di thè e allora, spinta da visioni illuminanti ho deciso di partire.
No, questa volta sono qua per studiare, un lungo corso di un anno.
E siccome la curiosità è una scimmia che ti assale e non ti molla finchè non le hai dato la banana che vuole, siccome molti lo hanno già chiesto ve lo dico: non studierò pedagogia nè psicologia, questa volta mi butto sulla biologia umana perchè voglio proprio capire bene bene come funzionano i nostri corpi.

Quindi son qua solo per quel motivo e a dirla tutta non volevo neanche stare in albergo, sarei venuta su con il mio motorhome super vintage e mi sarei piazzata in un grande parcheggio alberato qua accanto.
Per materializzare nelle vostre menti il mezzo immaginatelo così: quando lo guidi ti sembra di stare in un aereo, ha una vetrata pazzesca davanti e senti rumori di motori giganti accanto alle tue orecchie. Bhè detto così sembrerebbe più un trattore, e allora immaginate un trattore, con un bellissimo impianto stereo ma che ha due sole opzioni di ascolto: radio e cassette.
Immaginate me che cerco di sovrastare il boato eterno con una cassetta di musica popolare che ripetutamente giro.
Visto da fuori sembra uscito da qualche serie televisiva americana anni ’80, dentro ha la tappezzeria molti simile ai vestiti dei Flintstones ed una sorta di spa portatile, infatti d’estate se lo lasci sotto il sole diventa una sauna finlandese, basta che ti ricordi che non stai morendo, no, tu stai solo facendo un percorso detox in una spa mobile.

Quindi io volevo venire con lui, ma lui non voleva venire con me, infatti il ricambio del motore del tergicristalli che ci ha valorosamente serviti ed è perito sotto una tempesta troppo violenta, non arrivava.
Avevo escluso l’albergo anche perchè quelli che avevo visto mi sembravano veramente brutti dalle foto alcuni, ed altri oltremodo costosi considerando che li avrei usati solo come dormitori.
Specifico che non sto proprio a Padova ma a Montegrotto Terme, ridente cittadina dove l’età media di quelli che vedrai in giro è di 74,3 anni.

Dopo aver guardato alberghi nel raggio di 2-300 k (tanto prendo il treno la mattina, e che je fa?) alla fine mi sono arresa, ho chiamato l’albergo dove si tiene il corso e ho chiesto una camera.
“Mi faccia vedere, dunque dunque.. Sì ne è rimasta solo una!”
Evviva, ho pensato, sono proprio fortunata, l’ultima camera disponibile, woww!
Solo durante il viaggio ho iniziato a pensare “l’ultima camera a me, perchè questa la tengono per ultima nelle prenotazioni? Ci avranno ucciso un pensionato, ci avranno fatto rituali? Farà veramente schifo? Avrà la vista nel cimitero del paese? Che c’avrà?”.

Pensavo questo durante il viaggio in treno dove mi ero organizzata per lavorare ad un ritmo ben sostenuto immaginando che avrei impostato uno dei prossimi libri, avrei abbattuto la torre dell’ennesima lista di cose da fare, avrei scritto una lettera al papa e un trattato sui calamari, mi sono invece ritrovata a:
– faticare non poco emotivamente per uno scambio, molto proficuo ma emotivamente denso, con una persona (ciao persona se leggerai). Uno scambio nato da una cosa piccola ma che è diventata molto grande e che per fortuna siamo riusciti a gestire bene e risolvere al meglio. Però ho pianto e scritto un articolo nel mood “sturm und drang” che vi risparmierò;
– parlare un’ora al telefono con mia madre per raccontarle un po’ di cose rimaste in sospeso. Io la sento poco, in realtà sento poco tutti, perchè ho sempre molto, davvero moltissimo, da fare e mantengo la concentrazione su quello e la mia famiglia. Parlare con lei è stato bello e con gli aggiornamenti sono a posto per i prossimi 3 mesi (Yo mama?);
– spuntare un paio di punti della lista to do, quelli facili però, come quando a scuola facevi i compiti partendo dagli esercizi a crocette;
– piangere di gioia per una mail meravigliosa arrivata fresca fresca dalla casa editrice;
– bere un paio di litri di acqua (mannaggia a me il thè mi era rimasto a casa);
– inviare solo un paio di mail.

Comunque arrivo a Montegrotto e mi dirigo a piedi verso l’albergo. Mi dicono che è a 1 km e che se voglio posso prendere un taxi, eroicamente rifiuto tanto cosa vuoi che sia un km!
Prima tappa Poste italiane, per prelevare soldi.
Voi qui dovete prima essere aggiornati su un fatto: il 30 maggio ho perso in un autogrill il mio bancomat e non l’ho mai più rifatto.
Perchè se non riesco a chiamare mia madre figuriamoci se ho tempo per andare dai carabinieri a fare la denuncia che mi chiedono una foto del bancomat per poterla fare (“ma come, sono qua per dire che non l’ho perso!”) e allora visto che non sono una tipa organizzata che non fa foto alle sue carte dover andare alle poste per farmi dare il numero e scoprire che in realtà ho 11 carte e non si capisce perchè e stare 40 minuti in piedi con una mascherina diabolica che ricorda il camper ad agosto e trovare finalmente il numero e tornare dai carabinieri a fare la denuncia (che trovo sempre sia un’esperienza esaltante per come viene scritta e riletta) e poi tornare alle poste e scoprire che devono rifarmi la conotrattualistica e che ci vogliono altri 40 minuti (questa volta avevo la mascherina giusta) e fare sta cacchio di foto alla carta perchè mannaggia a me quando l’ho persa.
Insomma sono stata 5 mesi senza la carta, usando l’altra che ha Michele, spostando soldi da un conto all’altro, facendo molti acquisti online e lasciando soprattutto a Michele ogni onere legato alla spesa domestica.
Quindi ero particolarmente felice di essermi tornata a semplificare la vita trovandone però immediatamente degli ostacoli: le prime due esperienze di tentato acquisto sono cadute nel nulla perchè non accettavano bancomat per gli acquisti che desideravo fare (avevo solo 10 euro con me).
Poste italiane di Montegrotto, fila pazzesca, specifico che era una fila di veneti, guardavano tutti dritti, serissimi, concentrati sul loro turno, molto parchi nelle emozioni e risposte alle mie domande (“qualcuno è in fila per il prelievo?”, “c’è qualcuno che mi sente?”, “yuhuuu mi stanno mangiando gli squali!!””). Riesco a mettere la carta nel bancomat ma non funziona, chiedo spiegazioni e lì, solo lì rispondono.
“Non è poshsibile, le pershone prelevavano fino a pochi minuti fa!!”.
Entro e scopro che la macchina era stata appena aggiustata dal tecnico ma diamine, sono arrivata e non funziona più ed è innegabilmente così.
Per cui l’unica soluzione è fare la fila, altri 40 minuti per riuscire a prelevare dei soldi. Per i misteri dei ticket per la fila, riesco incredibilmente a farmi passare tutti avanti. Questo però ha dei vantaggi perchè mi godo l’incredibile spettacolo umano. A me piace molto stare in fila perchè mi concede il lusso di poter osservare tutto e tutti da un posizione di legittimazione dello sguardo ma anche dell’ascolto.
Così la mia vicina di fila sono 40 minuti che parla al telefono. Parla con il marito, o compagno, sta cercando di giustificarsi per il ritardo che aveva fatto quel pomeriggio. Parla di imprevisti, di problemi a lavoro, gli dice che è esagerato (e credo che abbia ragione), continua a ripetere stizzita e impotente “tu non mi lasci parlare”. Continua a rispiegare la storia dall’inizio, fornisce più volte le sue coordinate, dice che la reazione di lui è esagerata, che lei non ha fatto niente.
Io provo profonda compassione e tenerezza per lei. In tutto questo suo giustificarsi sembra una bambina alla ricerca di conforto non riesce a dire “Capisco che le cose non sono andate come avresti voluto ma così è. Io lavoro, ho impegni, responsabilità, posso far tardi a volte ma non posso permetterti di scaricarmi addosso la frustrazione in questo modo. Quindi ora finisco alle poste, dopo torniamo e ne parliamo, però in maniera saggia e matura perchè non posso averti causato una simile sofferenza per un mio ritardo. E se questo è avvenuto è probabilmente perchè tu hai una sindrome da abbandono grossa come il motorhome di Emily ed è tutta tua. Ciao tesoro, ho una fila da fare e della serenità da recuperare. A dopo”.

Tra lei e il direttore delle poste (o supposto tale dagli elementi che ho) che parla di tso e gossip vari con la signora delle pulizie tocca finalmente a me.
Prelevo in due minuti e sono fuori.

Albergo arrivo!!
Scopro che anche questa volta ho caricato troppi libri nella valigia che trascinata sui sampietrini mi crea una vibrazione sul braccio che quasi quasi ho paura che mi si stacchi.
Sudo, cammino, sorpasso branchi di pensionati carichi d’oro (nudi peseranno 2-3 chili di meno). Passo davanti a tanti negozi, vendono costumi, frutta, vino, magliette improbabili (una da bambini riportava questa scritta “da grande vorrei essere ricco oppure Rocco”), gadget osceni, ci sono diverse tabaccherie e mi si appiccica addosso una sensazione di decadenza, di qualcosa che inizia a puzzare di naftalina.

Arrivo all’albergo, da fuori un casermone come tutti, dentro un carrozzone di creature che mi vien da definire mitologiche e la sensazione di essere in un film viene amplificata dall’effetto rallenty dei movimenti dei vari anziani spalmati qua e là su divani e poltroncine.
Sembrano tutti dei personaggi studiati appositamente per avere caratteristiche specifiche per i ruoli interpretati.
Nella hall, dietro il bancone c’è una signora che avrà su per giù 70 anni, tutta truccata, piena di collane di perle giganti che formano una sciarpa gigante che come una boa è lì lì pronta a stritolarla se solo si distraesse un attimo.
La chiave non è un elegante carta come a Firenze ma una lapide in mogano, con sopra una placca di ferro indicante il numero. Non puoi perderla, ti accorgeresti immediatamente di viaggiare con un paio di chili in meno.
Credo che sia fatta così anche per allenare la muscolatura degli anziani, dieci alzate di chiave ogni mattina e il bicipite ce lo conserviamo in forma.
Il signore che mi accompagna alla camera è oltremodo magro, infilato dentro ad una divisa oltremodo attillata che ne esalta le giunture.
Ha un cerotto sulla fronte, cammina con le mani conserte dietro la schiena con una inclinazione verso la parte anteriore ed è vittima della mia prima domanda stupida “ma le piscine che sono all’esterno sono riscaldate?”, “Sono tutte riscaldate, siamo alle terme”, e io sento vagamente un “idiota” finale che mi trasmette telepaticamente. Punto.
Lungo le scale si sente odore di qualcosa di vecchio, arrivo alla camera che si trova in un corridoio anonimo che hanno provato a imbellettare con il gusto pensionato, mobili in legno lucido e scuro, centrini sopra, quadri improbabili.
Apro la camera e penso solo una cosa “fa veramente schifo”, i colori e i materiali sono mal assortiti, sembra che raccolga gli scarti delle varie annate di cambi di arredamento che il luogo ha visto, penso che non se li meritano tutti questi soldi, sto per chiamare il concierge per dire “sono veramente rammaricata per quanto accaduto, la camera non rispecchia le foto, è di cattivo gusto e mi sento a disagio. Rivendico i miei diritti di consumatrice e possiamo chiuderla qua facendo finta che non ci siamo mai visti e me ne vado”. Ma dove andare poi?
attorno non mi sembra che sia tanto migliore la situazione, altre camere per cambiarmela non le hanno e poi alla concierge c’è la signora delle perle, magari si intreccia con il filo del telefono e soffoca davvero e vengo accusata di un omicidio colposo a danni di un’aspirante Moira Orfei. No, non potrei mai.

E allora c’è solo una cosa da fare: scovare punti di bellezza qua dentro.
Così inizia tutto, esattamente come le perle della signora nascono perchè qualcosa di sporco entra nell’ostrica e lei per conviverci lo ricopre fino a farlo diventare qualcosa di bello, così farò anche io e inizio a cercare armonie per ricoprire questa cacofonia di stimoli.

Ora vorrei dirvi molte cose in più ma devo fermarmi che alle 3 mi sono rifiutata di svegliarmi, vorrei raccontarvi com’è andata in piscina, la signora della pizzeria, la vita notturna di Montegrotto e un progetto iniziato ieri sera con qualcuno dall’altra parte del mondo.

Vi lascio con la scimmia, tra qualche ora vi porterò qualche nocciolina.

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