Illustrazione: Lenny Wen
Quella sera mio marito mi convocò sul divano.
Sentivo la sua gioia e la sua paura.
Aveva uno sguardo commosso, questo era chiaro, lo capisco sempre quando i suoi occhi riflettono una luce particolare.
Io ero un po’ preoccupata ma in fondo era chiaro che non sarebbe stata una notizia drammatica, l’aria era festosa.
Ci sediamo, uno di fronte all’altro. Teneva una busta tra le dita.
Con le mani che gli tremavano me la porse.
In quei pochi secondi la mia mente scandagliò le infinite possibilità che si sarebbero potute concretizzare aprendola.
Una proposta di matrimonio? Un biglietto per una meta esotica? Una multa per eccesso di velocità? Un assegno in bianco? Un buono per una seduta di un mese in un centro termale da sola senza figli, lavoro o marito?
Apro la busta, adesso sono io che tremo.
Intuisco una foto, un po’ delusa abbandono l’idea della sauna finlandese.
La sfilo e inizio ad esser perplessa.
La estraggo completamente e inizio a preoccuparmi.
Nella foto è ritratta una bellissima ragazza, capelli lunghi color del miele, più giovane di me senza dubbio, lei non ha nessuna ruga ad incorniciar quel sorriso spudoratamente radioso.
Mentre alzo lo sguardo cercando una spiegazione alla mia inquietudine che avanza, lo trovo lì, con le lacrime agli occhi che mi dice: “Emily, tesoro. La nostra famiglia si sta allargando. Lei è Marzia, e tra pochi giorni verrà a vivere con noi. Ma tu non devi preoccuparti, perchè io ho amore per entrambe. Vedrai sarà bellissimo, faremo tante cose assieme e ci divertiremo. Lei dormirà in camera con noi perchè sai, è nuova e avrà bisogno di sostegno e vicinanza. Potrà usare i tuoi vestiti, quelli che non metti più e anche i tuoi libri e quaderni, guarda quanti ne hai. Sei felice?”.
Io non ho più parole, il mondo mi si sgretola davanti agli occhi, nulla di quel che conoscevo ha più senso di esistere, e penso solo una cosa “Come hai potuto farmi questo? Riportala subito indietro!!!”
Ecco, questo è all’incirca quel che succede ad un bambino quando noi genitori, oggetti del suo amore incondizionato, gli comunichiamo che presto arriverà un fratellino o una sorellina.
Per un bambino la notizia dell’arrivo di un fratello è una bellissima notizia finchè questa non si concretizza.
Bello immaginare di avere un compagno di giochi, uno con cui nascondersi dietro al divano a mangiar cioccolata trafugata e con cui saltare nudo in giro per casa ridendo alla vista di quegli adulti che cercano di coprirti le chiappe nude.
Poi il fratello nasce davvero, dopo mesi in cui già quella pancia che lievita inizia a far supporre una distanza dai propri genitori e allora i grattacapi diventano grattacieli da scalare, da scagliare, da combattere. Nasce e piange, e chiede, e ciuccia, e si attacca alla mamma e al papà, ti lecca i giochi e ti può vomitare sul letto, ti gira intorno perchè ti adora e non ti molla un attimo, richiede attenzioni e bisogna controllare che non si pettini con lo spazzolone del water.
Se questo è l’incipit non voglio proseguire dicendo di non fare più figli perchè sennò i primi soffrono. No, non dirò questo, piuttosto come sostenere quel piccolo dolore e permettere a tutti di sentirsi a proprio agio, riconosciuti, accolti e protetti.
Partiamo dalle basi.
Un fratello non è un regalo, non è un dono, non dovrebbe nascere per tenere compagnia ad un fratello o per quella ridicola convinzione che se non hai un fratello diventi viziato.
Un secondo figlio si mette al mondo per amore, per condivisione, per vita in abbondanza, per gioia, con consapevolezza e comprensione.
Un fratello si mette al mondo se sentiamo come genitori di avere spazio per sostenere una nuova vita, una nuova esistenza, con tutto ciò che comporta, dolore e rancore del primo compresi.
Quindi evitate di dire “Ti abbiamo fatto un regalo”, “Tuo fratello è un dono” e frasi simili.
Piuttosto dite “Noi abbiamo deciso di far nascere un secondo figlio e ti staremo accanto in ogni tua emozione”.
L’amore non si impone, non si forza, non si appiccica.
L’amore si percepisce, si sente e si vive.
A volte esplode fulmineamente a volte necessita di un tempo più disteso, quello della conoscenza, della scoperta.
Così dovrebbe essere anche per un fratello, lasciate al grande il diritto di “annusarlo”, di valutarlo, di soppesarne l’esistenza, di chiedersi “ma questo adesso chi è e cosa vuole?”.
Legittimate al bambino più grande il diritto di non provare simpatia e non essere felice, non significa che sarà sempre così, ma può esserlo all’inizio.
Diteglielo senza troppi fronzoli “È normale che in questo momento tu ti senta confuso o spaventato. Non devi amarlo per forza, per far piacere a noi che siamo i tuoi genitori. Puoi permetterti di provare rabbia, di non esser per niente felice della novità. Noi ti ameremo sempre, qualsiasi siano le tue emozioni. Esprimi tutta la tua rabbia verso di noi se la senti, se senti di esser stato tradito o che abbiamo commesso un torto. Tira fuori tutto tesoro, noi siamo qui ad accoglierlo e ti amiamo come sempre e per sempre”.
Il grande, ecco, qui apriamo una piccola parentesi.
Grande per modo di dire. Che il primo abbia 13 mesi o 13 anni improvvisamente con la nascita di un fratello diventa grande.
Ma così non è.
Piccolo il primo e piccolo il secondo, bambino il primo e bambino il secondo.
Non si diventa adulti e responsabili con la nascita di un fratello e nessun genitore dovrebbe farcelo pesare con frasi tipo “Dai il buon esempio”, “Fai vedere come si comporta”, “Adesso sei il grande e devi aiutarmi”.
Ad ognuno la sua età, ad ognuno la sua porzione di responsabilità e maturità anagrafica.
E se ad ognuno va riconosciuto il suo dal punto di vista anagrafico lo stesso vale dal punto di vista materiale.
Il primo conosceva una vita da solo, con i suoi spazi ed elementi a ciascuno dei quali aveva assegnato una memoria emotiva e una percezione affettiva.
Questa va preservata e tutelata. Il secondo avrà le sue cose e se il primo deciderà di dargliene qualcuna delle sue ben venga ma non può essere imposto nè fatto di nascosto.
Il primo figlio con l’arrivo del secondo si può sentire messo da parte, non tutelato, ed è invece fondamentale che noi gli diamo una percezione di difesa dei diritti e dei bisogni, primo tra tutti quello del riconoscimento e della tutela della proprietà.
Se non condividete questa affermazione allora vi invito a regalare tutti i vostri abiti che non mettete più ma a cui siete legati: del matrimonio, del giorno del parto, le scarpe con cui avete fatto un viaggio leggendario o la tazza di vostra nonna.
Non è mai un reale valore dell’oggetto quel che conta, ma quello che noi gli diamo, quello che per noi rappresenta e nel caso di un bambino quel che rappresenta può essere il rispetto dei nostri genitori verso di noi.
E infine, visto che di bisogni si parla, una buona regola da seguire è: “bambini diversi, bisogni diversi=risposte diverse”.
Ad ognuno il suo spazio, ad ognuno il suo diritto, ad ognuno la risposta al suo bisogno.
Non dovete fare tutto uguale, se dò un biscotto ad uno non devo darlo anche all’altro se non ha fame. Se compro le scarpe ad uno non devo comprarle anche all’altro perchè sennò ci rimane male. Se regalo un gioco ad uno non devo farlo anche per l’altro se ne ha in abbondanza e non necessita di nulla in particolare.
L’amore non si misura in cm, in kg, non ha dimensioni misurabili e non dovrebbe essere ridotto a questa miseria.
Applicare la regola del 50 e 50 mette spesso i figli in competizione, li spinge a girare con compassi, metri e bilance per essere certi che nessuna ingiustizia venga commessa, spinge a smettere di ascoltare se stessi e di cosa si ha bisogno guardando piuttosto ciò che è stato fatto per l’altro, favorendo un comportamento competitivo, ostile e poco consapevole.
Facendo un secondo figlio bisogna mettere in conto il doppio delle emozioni, piacevoli e spiacevoli, il doppio delle risate e dei pianti, il doppio della pazienza e della coerenza, il doppio delle lavatrici e la sensazione di invecchiare al doppio della velocità.
Ma volete mettere il brivido della sopravvivenza, la meravigliosa sensazione di esser vivi quando dopo averli addormentati, dopo aver sistemato, dopo aver chiacchierato e bevuto un bicchiere di vino rimane anche il tempo per leggersi un libro alle 2 di notte, ovviamente arrivando alla terza riga ma che importanza ha, si è vivi anche oggi! (si lo so, l’ho dipinta troppo romantica, l’80% delle volte, ci si addormenta con i bambini mentre i gatti si avventano sui resti della cena..).
Meravigliose gocce di vita che vi rigano la fronte, brividi di esistenza che vi solleticano la schiena ecco cosa sono.
E se proprio non sapete bene come gestire le emozioni provate con Marzia, Pasquale o Gualtiero che improvvisamente potrebbero piombare nelle vostre vite portati da compagni che sentono di avere tanto spazio nel loro cuore e tanto amore da dare, prove generali per esercizi di empatia verso i primogeniti.
Non so se ho capito bene ma francamente non mi sembra la stessa cosa.
E per la prima volta penso : evviva mio figlio è figlio unico!!!
Buongiorno Antonella, certo che non è proprio la stessa, ma il principio è molto simile. È un’iperbole comica
con un fondo di verità: “io ti amo tanto+tu mi porti a casa un altro= io mi sento ferito e tradito”.
Complimenti per l’articolo, ma riguardo i gemelli?
Ciao Emily, ne abbiamo parlato anche di persona ed ho seguito i tuoi consigli…ho cercato di abbandonare la regola del 50 e 50… anche se hanno sviluppato un misurazione ad occhiometro che il metro il laser ci fa un baffo ;))
Ciao Emily, questo tuo articolo arriva proprio nel momento giusto,quello in cui credo di stare sbagliando fortemente con la mia primogenita..
Leggo le tue parole e le sento vere!
Peccato che nella pratica non conosco altri modi per contrastare quelle “vecchie” modalita’ tipiche della mia infanzia da primogenita..
E la difficoltà aumenta quando mia figlia (4 anni e1/2) verbalizza e concretizza la sua rabbia nei confronti del fratellino (1 anni 1/2)..
Grazie comunque per gli spunti preziosi che offri!
Ho stampato alcune copie del tuo articolo (con firma e link) e sono andata da tutte le mie colleghe maestre chiedendo: “Hai mamme in attesa?” <3