illustrazione: Henn Kim
Vengo dalla provincia e qua c’è una brutta abitudine radicata in tutti noi (poi molti la riconoscono, rifiutano e se ne emancipano) che è quella del giudizio e della critica costante.
Ora non dico che questo avvenga in provincia e non nelle metropoli, forse in zone piccole la promiscuità sociale ne aumenta la visibilità del fenomeno ma credo che sia radicato in tutti noi in quanto esseri umani.
E badate bene, lo dico senza giudizio.
Perchè poi se si inizia ad avere un giudizio del giudizio non finiamo più.
Cioè, lo dico senza voler per forza condannare questo meccanismo perchè non lo considero come uno strumento di attacco, quanto piuttosto di difesa.
Credo fortemente che ogni qualvolta noi uomini o donne ci troviamo in difficoltà, di fronte a qualcosa di nuovo, di inconsueto, di spaventoso, o qualcosa che vorremmo fare ma non ce lo possiamo o vogliamo permettere, allora piuttosto che ammettere la nostra debolezza iniziamo a giudicare, criticare e talvolta odiare.
Tornando alla provincia, da noi succede questo curioso fenomeno per il quale tutti si lamentano che non c’è nulla, ma quando qualcuno apre qualcosa di nuovo, inizia a girare strisciante un sentimento di giudizio verso chi ha avuto l’ardita iniziativa e partono le scommesse su quando l’esercizio chiuderà. Non a caso uno dei detti principale qua è “a discore nun è fadiga” (parlare non è faticoso..). Se poi per caso il malcapitato chiude davvero questo rafforza la teoria secondo la quale non c’è niente e il piangersi addosso e giudicare è legittimato. Ma il meccanismo che c’è sotto a mio avviso è: siccome non sono stato io quello che ha avviato l’impresa e magari l’iniziativa dell’altro mi ricorda la mia immobilità e la mia paura di reagire e assumermi la responsabilità totale di qualche impresa, io giudico, così allontano da me la paura.
O ancora, prendiamo tutto ciò che viene detto ad ogni cambio di generazione “non ci sono più i ragazzi di una volta, a noi il rispetto sì che lo insegnavano”. Ci giurerei che già ai tempi di Cristoforo Colombo venivano poste critiche simili. Anche questa è paura, che il nuovo spazzi via il vecchio, è paura di morire, che si traduce in un’idealizzazione (che pecca di lucidità molto spesso) del proprio passato per respingere l’inarrestabile presente che si impone senza chiedere permesso.
Giudizio ogni volta che qualcosa crea un termine di paragone e le nostre scelte rischiano di essere messe a repentaglio perchè forse scelte non erano, ma percorsi ingabbiati nei quali ci siamo sentiti forzati dall’imperativo interiore che abbiamo acquisito “fai come tutti!”.
E quelli che fanno diversamente sono degli imbecilli per forza, perchè poi diventa una questione di “o io o tu”,”qua c’è un aggettivo da affibbiare a qualcuno per forza, quindi o l’imbecille sei tu o lo sono io che seguo la massa”. Il fatto è che nessuno lo sa, probabilmente siamo tutti imbecilli considerato che sposiamo le nostre cause pensando che siano giuste senza ombra di dubbio, sennò tutta questa fatica come la giustifichiamo?
Fa paura pensare di aver investito tempi, energie, credenze e fede in qualcosa per cui non ne valeva la pena. Sono discutibili i vegani per i carnivori e sono discutibili i carnivori per i vegani, ad ognuno il suo parafulmine emotivo per fuggire da se stessi e dalla propria onestà sentimentale ed intellettuale.
Poi ci sono i bacchettoni relazionali, quelli che giudicano e criticano quelli che si separano, tradiscono, si lasciano. Ora, se uno è tranquillo delle proprie relazioni non spara a zero su quelle degli altri. Mettiamo che io ho una relazione soddisfacente, che mi realizza e per la quale ne vado orgogliosa, ma cosa mi dovrebbe fregare se caia ha lasciato tizio per un venticinquenne palestrato? Non so voi, ma a me viene il serio dubbio che forse tutta quella critica nasconde solamente un desiderio celato che non riesce a trovare sbocco. Se fossi davvero tranquillo delle mie scelte passerei oltre.
Il punto alla fine è proprio questo, perchè non riusciamo a passare oltre?
Perchè un influencer ha migliaia di haters che però quotidianamente vanno sulla sua pagina a vedere ciò che fa ed insultarlo anzichè viversi la propria esistenza? Forse hanno paura di ammettere che, per quanto possa essere fonte di discussione e confronto l’oggetto del successo, l’invidia strisciante gli ricorda che non fatturano 10 milioni di dollari all’anno e al massimo alle loro foto mette mi piace la zia di 80 anni e altri 20 “follower”.
Gli influencers sono un termine di paragone, lo sono i no-vax, quelli che mandano i figli in scuole diverse, quelli che mangiano tofu, quelli che si mangiano la placenta, quelli che vestono solo marche famose, quelli che spendono tutti i loro soldi in telefoni nuovi, quelli che invece di trovarsi un lavoro “serio” vanno a fare mercatini, quelli che vanno a messa, quella che non ci vanno, quelli che decidono di sposarsi e fare 10 figli e quelli che invece hanno deciso di fidanzarsi con tinder e di conseguenza provare tutto ciò che il mercato propone.
Giudichiamo e puntiamo il dito per scongiurare l’eventualità che qualcuno si accorga di noi, delle nostre fragilità e miserie.
I parafulmini servono durante la tempesta e dovremmo lavorare tutti assieme per smettere di produrre temporali.
Domande utili da porci potrebbero essere:
- perchè ho fatto questa scelta?
- per chi ho fatto questa scelta?
- è una scelta o una protesta contro qualcuno o qualcosa?
- la scelta dell’altro mette in dubbio la mia?
- avrei voluto fare io la scelta dell’altra persona? Se sì, cosa me lo ha impedito?
- chi mi ricorda quella persona?
- temo il giudizio riguardo le mie scelte?
- mi capita di fare scelte basandomi su ciò che gli altri ne penserebbero?
Abbiamo paura, molto più spesso di quanto vogliamo ammettere.
Concediamoci il lusso di dirlo ogni tanto.
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Grande articolo, concordo su tutto!!