Una costante nella vita di noi esseri umani, sin da bambini è l’esperienza di situazioni di tensione, difficoltà o conflitto con qualcuno.

Queste situazioni possono generare in noi frustrazione, impotenza, paura, sensazione di minaccia, angoscia, instabilità e senso di sconfitta.

Ma ciascuna di queste situazioni e le relative emozioni che suscitano in noi, possono essere una ricchissima fonte di esperienza, crescita, consapevolezza e ampliamento delle nostre capacità introspettive. Tutto ciò a patto che si rispetti una semplice regola, la ricerca dentro di noi della nostra parte di responsabilità.

Purtroppo una tendenza che sembra quasi un trend contemporaneo, ci fa assistere a situazioni in cui la prassi educativa sembra essere: “dichiararsi sempre innocente ed estraneo ai fatti e cercare il capro espiatorio fuori di se”.
Questo tipo di processo mina le possibilità di crescita che un bambino potrebbe ricavare da un’esperienza frustrante, impedisce una costruzione del reale caratterizzato da cause ed effetto efficace e relega le vicende del mondo, e quindi anche il proprio destino, a responsabili esterni.

I bambini cresciuti con questa modalità relazionale, tendono a pensare che il mondo sia un posto di cui non ci si può fidare, pieno di persone sbagliate sempre pronte e raggirarti, e di conseguenza, se loro sono sempre i responsabili delle mie difficoltà io sono la vittima, una persona buona e giusta che semplicemente si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato.

In un’ottica ampia che abbraccia la società, sono numerosi i danni che un tipo di educazione simile può arrecare:

  • sensazione di impotenza verso il potere costituito, loro sono i cattivi, noi i buoni ma è così e non possiamo farci niente;
  • scarse capacità empatiche, se le colpe sono sempre fuori e mai dentro di me non posso certo empatizzare e mettermi nei panni di chi ritengo il mio carnefice;
  • costruzione di un’immagine di se come di un essere migliore degli altri, che si eleva su una massa e se ne distacca;
  • fuga dalle situazioni dove si vivono tensioni perchè, non riconoscendo nessuna responsabilità in me, non intravedo nessuna mia possibilità di miglioramento perchè il problema non sono io.

Questo atteggiamento che gli adulti manifestano, lo hanno a loro volta ereditato dai loro educatori o sviluppato come strategia di sopravvivenza e adattamento alle situazioni vissute (es: nella scuola statale è molto semplice cadere in questa trappola relazionale. Il professore che detiene il potere nella classe diventa facilmente il carnefice di cui io mi sento vittima senza possibilità di azione concreta).

Probabilmente in molti leggendo questo articolo potrebbero pensare che quanto scritto non gli appartiene, eppure credo che sia molto più radicato in noi di quanto crediamo.

Lo manifestiamo quando ci lamentiamo di qualcosa ma non facciamo nulla di concreto per migliorare la situazione.

Lo facciamo quando cerchiamo complici che sostengano le nostre difficoltà. Se ad esempio vivo un conflitto con una persona, spesso risulta più semplice cercare confidenti che avvallino la mia versione (mistificando il reale svolgimento dei fatti) e parteggino per me piuttosto che risolverla con le persone coinvolte.

Lo facciamo quando un bambino si lamenta per un conflitto avvenuto e noi entriamo immediatamente in soccorso giudicando l’operato dell’altro bambino coinvolto nel conflitto (senza conoscere esattamente le dinamiche createsi).

Lo facciamo quando ricostruiamo in maniera distorta degli eventi o mentiamo appositamente per uscire “puliti” da una situazione.

Lo facciamo quando ci vergogniamo delle nostre azioni e cerchiamo di attaccare per paura di esserlo a nostra volta.

Lo facciamo quando diamo a dei professionisti degli incompetenti perchè è più facile dare a loro la colpa di non aver visto, non aver fatto, non aver detto piuttosto che assumerci la nostra parte di responsabilità di non aver visto, non aver fatto, non aver detto.

Lo facciamo quando recriminiamo qualcosa ai nostri genitori.

Lo facciamo costantemente e non ce ne accorgiamo.

Alcuni esercizi utili per riuscire ad uscire da questo circolo vizioso esistono, e possono essere applicati sia ai bambini che a noi stessi e sono, per citarne alcuni:

  • ogni volta che avviene un conflitto o ci ritroviamo coinvolti in una situazione problematica chiederci quale sia stata la nostra parte di responsabilità;
  • evidenziare e verbalizzare con lucidità i bisogni che sentiamo non ascoltati dagli altri e le emozioni che ne derivano (es: quando non vengo coinvolto in una decisione che mi riguarda, sento che il mio bisogno di partecipazione ed espressione non viene rispettato e mi sento deluso, abbandonato e impaurito);
  • gerarchicamente, per quanto riguarda il confronto e lo scambio, mettiamo al primo posto la persona coinvolta piuttosto che correre a cercare sostenitori della nostra parte;
  • concentriamo le nostre energie per ricercare una risoluzione piuttosto che sguazzare nell’evento scatenante, rivivendolo costantemente attraverso la narrazione e relegandoci a un ruolo di vittima;
  • facciamo attenzione a qualificare le azioni e non le persone. Una persona può aver fatto un gesto che a noi è sembrato scorretto ma non necessariamente essere una persona scorretta;
  • usiamo sempre frasi che iniziano con “a me sembra”, “la mia percezione è stata”, ecc.. Evitiamo cioè di generalizzare e rendere reale e assoluta una nostra percezione estendendola (e imponendola) al mondo intero;
  • ultimo, ma non per importanza, cerchiamo in maniera collaborativa di lavorare per l’armonia, la quiete e la pace, piuttosto che alimentare rancore, rabbia, disequilibrio e maldicenze.

I bambini imparano da noi, dalle nostre azioni prima ancora che dalle nostre parole.

Forse, nel momento in cui capiremo che non esiste metodo educativo più potente dell’esempio e della manifestazione vivente delle qualità che pretendiamo dai bambini, riusciremo a diventare degli adulti migliori, capaci di sostenere efficacemente un processo di crescita costante personale accanto a quelli dei nostri figli.

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