Quando 4 anni fa persi un bambino, la ginecologa che mi visitò, al mio dolore rispose con la statistica. Una donna su 3 perde un bambino nei primi tre mesi.
Il suo consiglio era: chiodo schiaccia chiodo, ossia, rimani incinta tra un paio di mesi e vedrai che dimenticherai rapidamente l’episodio.
Quando l’evento accadde, venni travolta dal dolore, ma in me ci fu una scialuppa di salvataggio lanciata da chissà chi e chissà dove che mi aiutò a rimanere nella vita, nelle emozioni e non affondare nella statistiche e il cinismo freddo e spietato che si trascina dietro a volte.


Rifiutai il consiglio della ginecologa e lasciai passare i mesi che quella gravidanza interrotta avrebbe occupato nel mio utero, cattedrale silenziosa e commossa. Una conoscenza antica mi diceva che ad ognuno è
assegnato uno spazio e che questo non dovrebbe mai essere occupato da qualcun altro, tantomeno dimenticato.
Un istinto mi diceva di dare un nome a quel bambino, di non disperdere la memoria di quella breve vita. Così arrivò il nome, poi un quadro aggiunto tra le foto di famiglia ed un numero, il 2.
Quel bambino, era il mio secondo figlio. Io ho 3 figli, non due, come erroneamente si potrebbe pensare.


Ho sempre considerato una grande idiozia il consiglio che si tramandano le donne qua da noi, quello che dice che se rimani incinta non devi dirlo a nessuno finchè non superi i 3 mesi.
Non c’è nulla di più bello che festeggiare la vita che avanza, io sono per dirlo subito, appena fatto il test, ovvio, terrei comunque un profilo intimo, non affitterei un aereo pubblicitario per l’occasione.
Pensate voi il dolore che può provare una donna che ha ceduto al consiglio e ha poi visto la gravidanza interrompersi. Non solo non ha gioito, non ha condiviso la gioia della scoperta, ma deve anche soffocare in lacrime nascoste il dolore di un segreto. Pensate dover tornare a lavoro immediatamente per fingere che non sia accaduto nulla. Ecco, quello è un conto con il dolore che si sta rimandando, che prima o poi tornerà a bussare. Ogni dolore ha bisogno del suo tempo per esser visto, accettato e ringraziato. Questo più che mai.


Tornando all’abitudine del non raccontare i propri inizi gravidanza e quindi le interruzioni che ne possono derivare, da quando raccontai la mia storia, per lunghi mesi non feci altro che incontrare donne che mi abbracciavano commosse sussurrandomi all’orecchio che anche a loro era accaduto ma che non lo avevano mai rivelato a nessuno.
Scoprii un mondo taciuto, silente e scosso da brividi di dolore ardente.
Scoprii una parte del mondo che ignoravo e a quell’episodio diedi il valore della scoperta di una porzione dell’umanità che c’è ma non si vede, che soffre ma lo fa senza lacrime, che urla ma senza voce, che vorrebbe scappare ma deve rimanere ferma.
Il silenzio del dolore, oltre ad aumentarlo in molti casi, porta con sè un secondo problema, quello della negazione e della cancellazione della memoria, che in termini di storia familiare può portare con sè dei problemi.

Mi spiego meglio.
Se io cullo nel mio silenzio quel bambino mai nato, rischio di sballare l’ordine dei miei figli.
Se prima del mio primo figlio ho avuto 3 gravidanze non andate a buon fine, quel figlio nato è il quarto e non il primo e la faccenda che sembra mera matematica, in realtà crea una sostanziale differenza nella costruzione della propria storia personale.

Ne parla ampiamente Dolto nel suo libro “inconscio e destini” quando racconta di uno dei bambini che seguiva e di come l’omissione dell’evento creò in lui problematiche durante la crescita.
Ne parla Hellinger, nelle sue teorie sistemiche. Ne parla Jodorowsky nella sua psicogenealogia.
Ne parlano in molti a dir la verità, ma non abbastanza da esser riusciti ad abbattere la barriera della superstizione, del pregiudizio, del “non dirlo a nessuno”.

Il principio è molto semplice, ogni membro di un sistema familiare occupa un posto, ogni sistema familiare in cui i posti e ruoli si sballano vive una disfunzione, questa potrebbe condizionare negativamente un futuro membro della famiglia, ad esempio un nuovo nato, che trovandosi nel posto sbagliato conduce un’esistenza non sua, con la sensazione che qualcosa non vada.

Lavorando da anni con i bambini ho potuto svariate volte osservare e toccare con mano manifestazioni di bambini a cui è celata questa verità. Bambini che hanno problemi legati al sonno, bambini che hanno amici immaginari, bambini che giocano in maniera continuativa con alcune bambole o pupazzi a cui danno nomi e dai quali non riescono a separarsi, quasi assegnando loro un’anima vera e propria. Sono tante le manifestazioni di un inconscio familiare che ogni membro di una famiglia possiede.

Negare la verità è associato ad un errato tentativo di salvaguardare i cari dal dolore, senza rendersi conto che è proprio l’omissione dei fatti a creare sofferenza e malessere. Se volessimo davvero essere sinceri, dovremmo ammettere che forse stiamo solo tentando di proteggere noi stessi dal dolore che abbiamo vissuto e che temiamo di rivivere nella narrazione dell’evento.

Per cui, cari genitori, onorate ogni figlio che avete avuto, raccontate la sua, seppur breve, storia ai vostri figli. Create un simbolo che ne testimoni il passaggio e il posto che ha occupato e occuperà per sempre all’interno della famiglia. Potete fare un quadro, appendere l’ecografia se l’avete, una poesia per lui/lei. Dipingete nelle camere dei vostri figli l’albero genealogico che li accoglie, contemplando ogni bambino che ne fa parte.

Una vita non nata, non è una vita che non c’è mai stata, questo i bambini lo sanno bene. Ogni bambino ha bisogno di una mamma, anche quelli non nati, forse, soprattutto, quelli non nati.

Ogni donna è madre, forse, soprattutto, colei che ha vissuto un lutto più rapido della comprensione della vita.

Buona vita madri, non dimenticate mai di esserlo, non dimenticate mai i vostri figli.

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2 thoughts

  1. Ho letto e mi sento d’accordo su questo pensiero profondo. Ho interrotto una gravidanza a causa di una anomalia cromosomica al 5mese di gravidanza, un parto. Un dolore che strappa la carne a morsi , un bambino nato non nato, una madre impotente davanti ad una realtà di scelte tra una morte e una vita sopravvissuta, un padre che urla silenziosamente un dolore contronatura, una coppia di una sorellina e un fratellino che aspettano chi mai arriverà a casa. Questa è la perdita di un progetto di vita , incompresa perchè la maggior parte della gente pensa che accedendo ad un aborto terapeutico ti disfi di un problema e non hai diritto ma soprattutto non ha senso piangere. Un dolore giudicato, un figlio non si abortisce( finche’ non ti trovi realmente una diagnosi certa non puoi prevedere quale decisone prenderai). Un dolore solitario perche pochi ti sono profondamente vicini al cuore in frantumi. E tu mamma, papà , hai bisogno di parlare della tua creatura ma nessuno ascolta.. durante questo doloroso percorso abbiamo parlato chiaramente e sinceramente con i nostri bambini vivi di Alessandro, il fratellino che nessuno può coccolare ma che comunque fa parte della famiglia e della vita di ognuno di noi

  2. Che un feto abortito, per qualsiasi motivo, faccia parte della famiglia fino al consiglio di “appenderne l’ecografia” mi sembra una forzatura a ripercorrere costantemente un lutto che, invece, deve essere elaborato. I bambini hanno bisogno di tutto l’amore possibile, non di condividerlo con uno sconosciuto e imposto “per non dimenticare”. Pensiamo ai vivi, non a chi poteva essere e non è stato.

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