illustrazione: Manon de Jong

Avete notato anche voi quanto vanno di moda i bulldog francesi?

Ho incontrato una coppia che mi ha raccontato quanto desideravano averne uno, il lungo percorso che li ha portati a scegliere il giusto allevatore, l’attesa che nascessero i cuccioli e fossero svezzati e finalmente l’adozione. Poi da quel momento, il racconto è una tragedia infinita. Il cane bisognoso di attenzioni e cure costanti, incidenti alle zampe, problemi gastrointestinali, paura crescente nei padroni e pensiero fisso “ma come c’ho pensato a prenderlo che non campo più adesso?”.

Chiarisco immediatamente che questo non è un articolo sui bulldog francesi, non mi interessano questioni cinofile (al momento) ma mi interessa la curiosa similitudine che questa situazione mi sembra avere con la nascita di un bambino.

Quando nasce un bambino la prima grande trasformazione che la famiglia vive è il passaggio dall’essere coppia all’essere genitori, passaggio che viene agevolato dall’aver già seguito un percorso personale di emancipazione dalla propria famiglia di origine.

Non si diventa genitori se prima non si è adulti e non si diventa adulti se non si smette di essere figli, ovvio, si parla di ruoli e non di biologia.

Se non è chiaro il motivo per cui si desidera un figlio, se non è completamente cosciente il perchè si vuole cambiare drasticamente la propria esistenza (perchè questo avverrà) il rischio è che l’inconsapevolezza e fragilità genitoriale verranno messe a fianco del bambino nella sua culla, come i doni che le fatine fanno ad Aurora.

Deve essere chiaro a chiunque decide di mettere un figlio al mondo, che è l’adulto che deve adattare la propria vita al nascituro e non viceversa.

Questo non significa sacrificare la propria esistenza e finire con l’essere riprodotto in qualche scultura dedicata ai martiri della famiglia, significa piuttosto mettere in atto una sana accettazione che le situazioni cambiano, che una famiglia è una comunità di individui ognuno con i propri bisogni ed in certi momenti i bisogni di qualcuno posso avere una priorità su quelli degli altri. Come nel caso di una malattia, o appunto di una nuova vita che si affaccia.

Gli errori più comuni che vedo messi in atto sono:

  • desiderio di tornare immediatamente alla propria vita mondana portandosi dietro i bambini come fossero accessori di tendenza. Genitori che fanno aperitivi, serate, cene in luoghi chiassosi con bambini di qualsiasi mese e misura a fianco. Bambini piazzati davanti agli schermi, genitori che urlano se i bambini non vogliono vedere il cartone, che li minacciano di tornare a casa se non li ascoltano sapendo che non ce li porteranno mai perchè se i genitori sono lì è proprio perchè a casa non avevano voglia di stare! Il corpo del bambino per riuscire a tenere le energie alte oltre l’orario classico della nanna, produce adrenalina e cortisolo, che inducono irrequietezza e stress. Ergo: mi addormento quando crollo perdendo il mio sano bioritmo.
  • ripresa della propria vita lavorativa esattamente da dove si era lasciata senza riduzioni di orario. Sono perfettamente d’accordo sul fatto che un adulto non debba identificarsi con il ruolo genitoriale ma anche con quello lavorativo, che il proprio lavoro, soprattutto se amato, è fonte di benessere e serenità. Ma cribbio, non potete mettere bambini di 4 mesi al nido perchè dovete subito tornare a lavoro, è assurdo che i nidi tengano bambini di 1 anni per più di 6 ore, non è concepibile lasciare un bambino al nido dalle 8 alle 18!! Allora fate le pratiche di adozione e toglietevi questo peso una volta per tutte. Un bambino, specie nel primo anno di vita, ha BISOGNO dei genitori per la costruzione di una base affettiva-relazionale stabile e sicura, tale relazione avrà effetti per tutto il resto della sua esistenza influenzando tutte le sue relazioni future. E quindi la risposta è sì, per il primo anno, dovete accettare che la priorità ce l’ha vostro figlio e non voi. Sì, per il primo anno dovete gestire meglio la vostra vita lavorativa. E sì, se pensate che il lavoro venga prima di vostro figlio sempre e comunque, avete un grosso problema familiare. Diverso è il caso se il vostro lavoro contempla la presenza di vostro figlio, allora è diverso. Ad esempio, se lavorate in un ufficio dove avete libertà di movimento, di pause, di ripresa, portatevi il piccolo con voi. Finchè è piccolo farà lunghe dormite e accanto a voi riceverà tutto il nutrimento affettivo che necessita mentre voi avrete il vostro spazio personale di realizzazione e benessere.
  • televisioni sempre accese. “Tanto è piccolo mica la vede anche lui”, eh certo! Quindi continua pure a guardare Psyco mentre allatti tuo figlio di 13 mesi che tanto lui mica vede e sente fino ai 3 anni…. (di allattare davanti la tv ne avevamo già parlato).
  • lamentela costante. Chi non ha accettato che una nuova vita porta una nuova vita anche per tutti gli altri componenti della famiglia, tenderà a lamentarsi sempre scaricando il barile sul piccolo (mentre si scrive su instagram “tesoro della vita mia”) e non si comprenderanno le sue reali richieste percependole sempre come pretese, capricci e scocciature. Sempre più spesso nella mia professione di pedagogista, incontro genitori disperati di fronte ai comportamenti dei figli e 9 volte su 10 quello che il bambino sta cercando di dire è “Mi vedi? Ti accorgi di me? Mi ami?”.
  • rifiuto della solitudine. Se c’è una cosa che esser genitore ti insegna, è affrontare la solitudine. Questa è la prova di fuoco per capire se ti sai bastare, se riesci a reggere il silenzio, se hai una relazione con il tuo compagno soddisfacente. Se siete finiti per essere una famiglia o se lo avete scelto. Rifiutare questo passaggio porta i neogenitori e riempire i vuoti. A fare passeggiate nei centri commerciali, a partecipare a qualsiasi attività, a invitare costantemente qualcuno a casa, ecc. Non che nessuna di queste azioni sia scorrette ovvio, il problema nasce quando diventano quasi ossessive. Una ricerca sfrenata di compagnia, importante comunicazione del proprio mondo interiore, che va ascoltata ma soprattutto compresa per rintracciarne le origini.

Insomma, cari genitori, crescere un figlio è davvero un compito stupendo, simile ad un’escursione in montagna. Ci sono salite ripidissime che preferiresti scavarti la fossa con un legnetto piuttosto che affrontarle, panorami mozzafiato, profumi di sottobosco magici, discese facilissime, pause rigeneranti, stanchezza felice e soddisfazione profonda.

Ricordatevi solo una cosa, che un palazzo senza fondamenta non si regge, che una torre se poggia sui cracker ad un certo punto viene giù, che se una corda non è ben legata alla sommità si stacca e cade, che la vita va protetta e i protettori siamo noi, non ce ne sono altri.

E’ vero vi sentirete soli, disperati, spaventati.

Vi chiederete anche voi come la coppia del bulldog : “ma come c’ho pensato a prenderlo che non campo più adesso?”.

Ma non fate l’errore di cercare di fuggire da tutto ciò, non perdete l’occasione d’oro di crescere assieme ai vostri figli.

Ricordate, quello che state vivendo non è un momento di fragilità, ma la scoperta di un nuovo disarmante, affascinante, sconvolgente, incantevole mondo.

Quando il treno parte fa paura è vero, ma non scendete per paura e se siete in difficoltà rivolgetevi a figure professionali in grado di aiutarvi a riflettere sulle cause piuttosto che ricevere consigli sulle pratiche.

Siete vivi, siete pieni di vita, avete di fronte a voi la vita nella sua forma più potente, questo è ciò a cui dovete aggrapparvi.

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4 thoughts

  1. Sono una mamma e come tale sono pienamente d’accordo con quasi tutto quello che è stato scritto, quasi perché, nel trafiletto riguardante il lavoro, bisognerebbe tenere conto che a volte per cause di entità maggiori, non si può rifiutare di lavorare 8 ore addirittura quando il bimbo/a hanno solo 4 mesi, purtroppo non è una scelta e soprattutto, sarebbe bello poter portare il bimbo/a con noi in ufficio,….ma siamo in Italia, provate a chiedere al datore di lavoro una cosa simile…quanti accetteranno?

  2. Concordo con la mamma sopra… si può anche chiedere una riduzione di orario ma dopo l’anno due età e quindi dopo le due ore di allattamento è difficile ottenerlo quasi ovunque da come sento anche per altre mamme … per non parlare di chi lavora in proprio …. e via con i sensi di colpa…

  3. bell’articolo. sul discorso del lavoro se il datore di lavoro non ti viene incontro e hai un mutuo sulle spalle non hai molta scelta. sarebbe bello restare a casa con i bimbi ma non sempre si può

  4. Torno su questo scritto, molto apprezzato, che è rimasto lì ad interrogarmi. Lo condivido ma ti chiedo un approfondimento… Rispetto alla solitudine.
    Quasi due anni fa sono diventata mamma e mi rendo conto che, soprattutto nell’ultimo anno, i momenti in cui sono sola con mia figlia (in genere alcune mattine alla settimana e dalle 16 alle 18.30) diventano spesso dei momenti emotivamente difficilissimi. Nel senso che questo essere sole mi scatena un senso di solitudine che mi genera un’ansia lieve ma continua. Non vedo l’ora che rientri il mio compagno, cerco affannosamente la compagnia di mia mamma – che me la nega purtroppo e con questo non so tanto farci pace – cerco di trovare qualcuno, santa barista,con cui fare due parole. Non mi piace, ed è qualcosa che non provo in questo modo quando sono io da sola. Eppure c’è e non so tanto come farmene qualcosa affinché non rovini il tempo che ho scelto di passare con lei. Di fatto poi questi momenti trascorrono anche abbastanza sereni, tra la biblioteca e il parchetto o semplicemente a casa in mezzo ai suoi giochi..ciò non toglie che vorrei levarmi di dosso questa sensazione così pervasiva e disturbante.Chissà se queste poche righe ti faranno venir voglia di scrivere qualcosa di più sul tema della solitudine delle mamme e magari io potrò capire qualcosa di più sulla mia solitudine.

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