Illustrazione: Valeria Colonnella
Quando si diventa adulti? Quando ci riconosciamo questo ruolo? Quando ce lo riconosce il mondo circostante e quando i nostri genitori?
Essere adulti significa assumersi la responsabilità delle proprie azioni, significa essere il padre e la madre di se stessi, significa smetterla di trovare capri espiatori, terzi colpevoli delle nostre incapacità di essere quello che vorremmo.
Processo arduo per chi rifiuta la verità, per chi non vuole rivedere la propria infanzia.
Il bambino assoggettato alle norme genitoriali, alle punizioni, alle umiliazioni vive in noi. La sua paura incarnata in noi ci paralizza, ci incatena nel tunnel della richiesta costante di quello che ci è mancato.
Ma tutto quello che i nostri genitori non ci hanno dato non ce lo darà mai più nessuno, ora siamo noi le uniche persone che potranno prendersi cura di quel bambino. Inutile cercarlo ovunque, negli amici, nei partner, nei colleghi, nei datori di lavoro.
Quel bambino non ascoltato, maltrattato, messo a tacere, a volte picchiato, a cui è stata imposta una morale immorale: “lo facciamo per il tuo bene, così impari”, “io ringrazio mio padre per le botte ricevute, perchè mi ha fatto capire come funziona il mondo, un giorno mi sarai grato”, è ancora in attesa di ascolto autentico. Quel bambino che è stato costretto al senso di colpa “guarda cosa mi hai spinto a fare”, “me le togli dalle mani”, “mi stai provocando, poi non lamentarti” è ancora alla ricerca di giustizia.
Gli abusi infantile, non parlo di quelli sessuali, ma di quelli legati all’annientamento dell’identità, della propria attenta percezione, della propria sensibilità, del proprio sentire, della propria verità, avvengono quotidianamente.
I social sono pieni di commenti che incitano alla punizione, di adulti che consigliano di educare le nuove generazioni a suon di schiaffoni, perchè a noi hanno fatto bene.
Si ci hanno fatto bene, a farci diventare un’enorme massa di adulti emotivamente ciechi, poco empatici, punitivi, distanti da noi, con piccole nevrosi e psicosi, con dipendenze da qualsiasi cosa: shopping, fumo, alcol, cibo, likes, sesso, gioco, droga, relazioni violente. Ci hanno fatto diventare esecutori inconsapevoli di violenze che da generazioni affliggono i bambini. Ci hanno resi aguzzini facendoci mettere in atto pratiche di pedagogia nera, per le quali da piccoli imploravamo pietà e invocavamo compassione. Ci hanno resi sadici di fronte all’infanzia. Ci hanno resi insensibili di fronte al dolore.
Mi dispiace, ma non condivido la frase “alla fine siamo cresciuti tutti”, perchè c’è modo e modo di crescere, così com’è evidente la differenza tra vivere e sopravvivere.
Il bambino che siamo stati, attonito di fronte a ciò che subiva proprio da coloro da cui dipendeva la sua sopravvivenza, da coloro da cui si aspettava amore cieco, impotente di fronte a chi era più grande di lui e poteva dirigerlo dove desiderava, come sistema difensivo ha eretto muri, dimenticando la sua infanzia, idealizzando i genitori, ripetendo i soprusi in un estremo e disperato tentativo di ricevere riconoscimento e amore incondizionato, cioè quello che un neonato si aspetta di trovare nascendo e un bambino crescendo.
Quanti adulti conoscete che non ricordano nulla della loro infanzia? Forse lo siete anche voi che leggete, vi siete mai chiesti il perchè? Che motivazioni avete trovato? Quali difese avete eretto? Provate a chiedervi il perchè di palizzate così alte, cosa cela quel periodo?
In psicologia sono tutti concordi nell’affermare che tutto ciò che siamo dipende dal bambino che siamo stati e lì bisognerebbe tornare per guarire, per stare bene.
Ma riprendere in carico il bambino dimenticato, chiuso in una cantina, significa riaprire le porte a dolori che non si vorrebbe ricordare, significa accettare che i nostri genitori non sono degli stinchi di santo come abbiamo, per sopravvivenza, dovuto immaginarli.
Ma è necessario, per diventare adulti.
Per non soffocare i bambini che incontriamo.
La verità è l’unica cosa sopportabile.
La nostra infanzia è la chiave di tutti i misteri che ci affliggono.
Trovate in voi la forza per prenderla in carico.
Trovate in voi le energie per ricomporvi, per riunire i pezzi, perchè chi dimentica il bambino che è stato, è un adulto lacerato, sanguinante, ferito, pericoloso e pericolante.
Illustrazione: Sivan Karim
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Mi si è stretto il cuore. Amo questo blog e amo che riesca a tradurre a parole tanti pensieri che non tiewcotiewcoad esprimere. Grazie.