Un’attenta osservazione della realtà attuale sta creando in me una riflessione riguardo il concetto di libertà, e il senso delle tante scuole che si ispirano a questo altissimo valore che stanno aprendo da più parti e delle famiglie che decidono di iscrivervi i loro figli. Chiarisco subito il punto che sono ben lieta che questo stia avvenendo, è un segnale di cambiamento e i cambiamenti sono necessari, così come i cambi di prospettiva e idee, che permettono al pensiero di non stagnarsi e rifugiarsi dietro ideologie corazzate.
Ma non sono una tipa da trombette, cappellini di carta e coriandoli. Sono piuttosto guardinga e tendente all’osservazione distaccata.
Gestisco una di queste realtà, per anni abbiamo parlato di libertà e ad un certo punto è sorto in me un dubbio e se voglio esser onesta con me stessa, se voglio dar spazio all’etica, all’integrità e non al narcisismo non posso ignorarlo.
Il dubbio riguarda la natura delle nostre esperienze. Siamo certi che quello che stiamo perseguendo sia un desiderio di libertà e non un desiderio di controllo?
Non è che dietro le comunità educanti, i genitori che entrano a scuola non si nasconda la semplice ricerca di controllare ogni singolo aspetto della vita del proprio figlio? Chi frequenta. Chi sono i genitori dei suoi amici. Chi sono le sue maestre. Cosa fanno nella vita. Dove trascorrono il loro tempo libero. Cosa c’è nel terzo cassetto del mobile al secondo piano vicino alla finestra. Cosa c’era dentro la torta di compleanno che tizio ha portato, quali ingredienti, in che percentuale e dove sono stati acquistati. Cosa fa, cosa dovrebbe fare e cosa non dovrebbe fare. In una parola sola: C O N T R O L L O.
Controllo cosa mangi, controllo cosa vedi, controllo cosa pensi, controllo la tua morale, controllo controllo e intanto ti dico che, figlio mio sei libero. Vola tesoro, spicca il volo verso il tuo futuro!! ma stammi vicino…. Non è che le nostre realtà stanno coltivando una nevrosi generale? La spasmodica e ossessiva costruzione di recinti, gabbie dorate, mongolfiere zavorrate. Ho impiegato un po’ per comprenderlo, l’ho capito grazie a dei genitori incontrati in giro per l’Italia durante dei corsi. L’ho capito quando ho iniziato a raccontare in giro che stiamo lavorando all’apertura di un residenziale per adolescenti, tipo Summerhill per intenderci. L’ho capito quando entusiasta del progetto lo raccontavo ad un pubblico sbigottito che mi ha risposto con frasi tipo “e io che l’ho fatto a fare mio figlio se viene a vivere a scuola?!”, “no, io non lo manderò mai, mi mancherebbe e poi deve stare con me, è mio figlio”, fino alle risposte più eclatanti tipo “ma se mio figlio va via dopo rimango sola con mio marito…”.
Ed è stato lì che ho percepito un’allucinazione collettiva.
Apriamo scuole diverse, facciamo arrampicare i bambini sugli alberi piuttosto che inchiodarli ad una sedia, abbiamo foglie di banano invece di quaderni, mangiamo tofu invece di carne d’allevamento intensivo, sfuggiamo dalla scuola statale che ci vuole controllare e quello che facciamo è ricreare controllo. Forse perché è l’unica cosa che conosciamo. La mia non è un’invettiva contro le scuole che aprono nei fiumi, nei boschi, negli istmi, nei guadi o nei salotti imperiali. Il mio è un timido esercizio di lucidità, di pedagogia della banalità che scuote la parvenza della normalità per scoprirne lo scheletro.
E’ un bisogno di verità, è la sola cosa di cui abbiamo bisogno, la libertà ne è la conseguenza diretta.
Volere un figlio selvaggio che corre scalzo e bacia rospi, non è distante dal desiderare un figlio che si laurea alla Bocconi. Il comune minimo denominatore è l’aspettativa e il controllo affinché la realtà si avvicini il più possibile a come l’avevamo immaginata.
I bambini non hanno bisogno di qualcuno che gli permetta di essere, i bambini sono già. La vera sfida educativa del nostro secolo sono gli adulti, che rivendicano la loro libertà ma pretendono che siano i loro figli a combatterne la battaglia verso la conquista. La vera sfida sono gli adulti che non sanno cosa fare, che vogliono riscattarsi da una vita ingrata e vanno ad insegnare o aprono scuole.
La vera sfida sono i genitori che professano tolleranza, apertura, animo libero e puro e passano ai loro figli il messaggio che tutto attorno a loro è indegno della loro consapevolezza e creano altezzosità e intolleranza.
La vera sfida siamo tutti noi grandi, maturi, saccenti uomini e donne che continuiamo a dire ai bambini cosa devono fare senza renderci conto che esiste sì una disparità, ma che probabilmente al livello più basso siamo noi a stazionare.
Forse nel momento in cui ammetteremo che dietro la libertà che agogniamo si nasconde un perverso desiderio di controllo, forse allora saremo un passo più vicino alla verità, e la verità è l’unica cosa che rende liberi. Non importa il setting della scuola, quello è design, architettura, fumo negli occhi.
Abbiamo bisogno di sguardi vispi, di menti pronte a virare rapidamente di fronte ai precipizi, di cuori caldi, di celebrare i lutti delle nostre infanzie perdute e omaggiare la vita che avanza.
Noi siamo già polvere, loro sono scintille.
Continuiamo ad aprire scuole, con sincerità, con rispetto, con amore verso ciò che non abbiamo avuto ricevuto quando eravamo piccoli e che nessun’altro potrà darci ora, perchè è un nuovo tempo, quello della maturità, di dare e non pretendere più.
I contenuti presenti sul blog “Hundreds of Buddhas” sono di proprietà di Emily Mignanelli.
È vietata la copia e la riproduzione dei contenuti in qualsiasi modo o forma.
È vietata la pubblicazione e la redistribuzione dei contenuti non autorizzata espressamente dall’autore.
“noi siamo già polvere, loro scintille”. Che brivido. Grazie.
L’ha ribloggato su e ha commentato:
“Abbiamo bisogno di sguardi vispi, di menti pronte a virare rapidamente di fronte ai precipizi, di cuori caldi, di celebrare i lutti delle nostre infanzie perdute e omaggiare la vita che avanza.”
Quest’articolo mi è piaciuto molto. Credo rappresenti un’importante presa di coscienza. Non credo di possedere “la” risposta, ma ho trovato una risposta possibile nella “comunicazione nonviolenta” di Marshall Rosenberg.
Secondo lui la violenza nella comunicazione (e quindi nei rapporti fra le persone, e nella società in generale), nasce proprio da quel desiderio di controllo e dal meccanismo che mettiamo in atto per ottenerlo: il sistema di premi e punizioni. Siamo stati tutti educati così, al punto che ci sembra normale ed inevitabile. Uscire da questo meccanismo significa accettare la nostra impossibilità di controllare gli altri senza fare loro violenza. Capire che noi possiamo sempre dire agli altri quello che vorremmo da loro, ma se lo pretendiamo, se per ottenere quello che vogliamo, adottiamo strategie che implichino una punizione, l’induzione del senso di colpa, della vergogna, della paura di perdere la nostra approvazione, stiamo usando una comunicazione violenta. Per Rosenberg l’unico modo in cui possiamo educare senza violenza, è entrare in comunicazione empatica con le persone: esprimere chiaramente come ci sentiamo e quali sono i nostri bisogni, e dare la possibilità agli altri di contribuire a soddisfarli. Senza mai implicare premi se lo fanno (nemmeno sotto forma di gratitudine), né punizioni se non lo fanno (nemmeno sotto forma di atteggiamenti passvi aggressivi). Cambia anche il modo in cui si dice grazie. Non “grazie, sei stato bravo perché hai fatto quello che volevo”, ma “celebriamo insieme una cosa che ci ha arricchiti entrambi”.
É un percorso lungo e non facile arrivare a questo tipo di comunicazione, soprattutto perché è escluso da ogni contesto educativo, fin dall’infanzia, ma praticarlo, anche se si è gli unici, in un contesto di comunicazione violenta, può portare grandi cambiamenti.
È vero. Ma è anche vero che i genitori abbiamo la responsabilità di sapere cosa mangiano i nostri figli. Abbiamo la responsabilità di sapere cosa gli altri li fanno vedere alla TV, cosa imparano fuori casa. Senza gli estremi ma con la consapevolezza che loro sono la nostra responsabilità. Non credo sia un controllo malsano, credo sia normale. Ho conosciuto una donna che li sembrava normale che la sua figlia di otto mesi mettessi un.chiodo in bocca ma poi controllava ogni aspetto della sua dieta…
Sono pro libertà ma La Libertà, la vera libertà si impara.
La libertà che produce persone senza nessuna consapevolezza ne rispetto, bambini che distruggono quello che vedono, adolescenti che non sanno comportarsi come persone rispetuose verso loro stessi, adulti che, in qualsiasi tipo di vita, dal mega dottore a quello che è andato a vivere in un paesino lontano in campagna per fuggire la città, sono prepotenti ed intolleranti, non professano la libertà.
Interessante, dissacrante e realista punto di vista. Realizzarsi attraverso un figlio. Una costruzione di pretese ed attese che tolgono la vera libertà di essere come sono, invece che lasciarli semplicemente sperimentarsi e divenire felici.Brillante.