Immaginate una mattina come le altre di svegliarvi e trovare scritto con un pennarello blu a caratteri cubitali che occupano l’intera parete di fronte al letto “TU SEI TUA MADRE!”.
Immaginate che la scritta l’abbia fatta il vostro compagno mentre dormivate.
Immaginate ora la vostra reazione.
(minuti di riflessione)
Questo episodio non è estratto da un libro di Poe o di Kafka, ma è un episodio autobiografico risalente a parecchi anni fa.
Senza aver conseguito master di psicologia o aver avuto alle spalle studi piscoanalitici, il mio compagno involontariamente scrisse una frase che ebbe su di me un profondo effetto evolutivo. Ovvio non subito, la prima fase fu quella di negare assolutamente l’affermazione, cercando di difendere la mia tesi “io non sono mia madre, ma figurati! Io sono io”.
Ci scommetterei l’unghia del mignolo destro che questa è un’affermazione che campeggia nei pensieri della maggior parte dei genitori.
“quando sarò genitore non sarò come i miei”, “io non farò gli stessi errori”, “non farò mai questo, non dirò mai quello…”.
Poi arriva il momento in cui genitori lo diventiamo per davvero ed allora è la resa dei conti delle varie promesse, che spesso si schiantano al suolo con sonori tonfi.
E siamo esattamente come i nostri genitori, e ripetiamo esattamente gli stessi errori e quello che ci è stato detto.
Sembra quasi un incantesimo, più diciamo che non lo faremo e più lo facciamo. L’intensità con cui cerchiamo di fuggire da alcune dinamiche che abbiamo vissuto è la stessa con cui ci ricadiamo.
Questo non dipende dal fatto che siamo dei quaquaraqua o dei menzogneri, ma dal semplice fatto che siamo cresciuti con modalità, dinamiche e azioni che abbiamo incorporato e fatto nostre. Dai nostri genitori non abbiamo solo appreso come si sta al mondo, come si piegano le mutande e come cucinare un uovo strapazzato, ma anche come si fa il genitore.
Crescendo cerchiamo di razionalizzare quello che abbiamo vissuto, quello che è stato fatto con noi, ma la nostra psiche contiene una memoria antica fatta di comportamenti ripetuti che sono diventati automatismi e quando siamo con i nostri figli e viviamo situazioni di stress, ci parte il pilota automatico, che rimette in atto le uniche modalità che conosciamo, ossia quelle vissute.
La qualità educativa di una persona non si comprende dalle parole che ripete, ma da come reagisce in situazioni di disagio o emergenza con i bambini, lì affiora quello che davvero è, quello che ha ricevuto.
Ovviamente in tutta questa storia c’è un ma, ed è il ma che permette l’emancipazione.
Noi siamo i nostri genitori, ma possiamo uscire dalla dinamica della ripetizione automatica, e la chiave risiede in una lavoro personale e poi di confronto con i proprio genitori (per chi non li ha più una lettera è comunque un ottimo strumento).
Provate a fare una narrazione dell’infanzia che avete vissuto, non quello che qualcuno ha fatto o meno con voi, ma quello che voi avete percepito, sentito e provato. Entrate in empatia con quel bambino che non si è sentito sempre ascoltato e compreso, dategliela voi la comprensione che attende. Con tutta la narrazione dal punto di vista del bambino che siete stati, andate dai vostri genitori e restituitegliela, lasciate a loro la questione di che genitori sono stati con voi.
Per diventare genitori bisogna “smettere” di essere figli, non prendete alla lettera queste parole ovviamente, cercate di comprenderne il senso metaforico. Immaginate delle persone in fila: i vostri genitori, voi, i vostri figli. Se volete guardare i vostri figli, dovete girarvi verso di loro. Continuando a guardare i vostri genitori, giudicandoli, cercando risposte che non sono state date, recriminando loro quello che hanno sbagliato state dando le spalle ai vostri figli.
Siamo le nostre madri e i nostri padri, non potrebbe essere altrimenti.
Siamo loro e siamo noi.
Siamo i bambini di un tempo e gli adulti di oggi.
Ma c’è un tempo per ogni cosa, e c’è una nuova responsabilità che l’esser genitori richiede, quella di prendersi cura con maturità, accettazione per ciò che è stato e saggezza.
Per cui, restituite ai vostri genitori la vostra narrazione, ringraziateli comunque, perchè ciò che hanno fatto forse era l’unica cosa che potevano fare.
Ora tocca a voi fare i genitori, ora tocca a voi mostrare maturità, ora tocca a voi prendervi cura di vostri bambini e di quelli che siete stati.
Tu sei tua madre. Tu sei tuo padre
ps: per la cronaca, la scritta sul muro l’ho lasciata per anni, leggendola ogni mattina ed ogni sera. L’ho lasciata finchè non sono riuscita a leggerla ed esserne profondamente grata, accettante e distaccata.
Io sono mia madre ed ora sono una madre.
foto: .Francesca Tilio.
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Grazie … bellissimo articolo… in parte argomento da me conosciuto ma comunque illuminante. Complimenti
Trovo molto interessanti i tuoi articoli e ti ringrazio per mettere così chiaramente nero su bianco concetti così intimi e preziosi. Complimenti davvero, mi piaci!
non so come sono capitata sul tuo sito, ma sono felice di esserci arrivata, quello che hai scritto mi tocca nel profondo, mi farà riflettere molto e forse riuscirò ad essere una mamma migliore, con maggior consapevolezza e un pò meno limiti (quelli che sono nati dalla mia infanzia, dal mio essere figlia e che credo mi condizionino profondamente).
È tutto così vero…così reale…come se da piccola tu fossi stata vicino a me e da adulta tu fossi qui…
È così…ci lotto ogni giorno con questa enorme scritta impressa nella mia mente”io non voglio essere come mi a madre” ma quando mi trovo davanti gli occhi della sfida dei miei figli….non ce la faccio…è più forte di me….mi metto ad urlare…m’impongo come se un vulcano eruttasse all’improvviso…
Mi si chiude la vena…esplodo….e puntualmente mi pento ma ..ci ricasco puntualmente il giorno dopo..
Questo succede ormai tutti i giorni da quasi 4 anni…e mi sento svuotata..
Parlare ai miei genitori di quasi 80 anni li ferirebbe e non ne comprenderebbero i motivi…ne sono sicura..
Proverò a scrivere loro una lettera…senza indirizzo di consegna.
Grazie,Emily..per essere così brava a “tradurre”ciò che scorre dentro..👏