Henryk Goldszmit è morto.

Si dice sia morto di dolore, durante il viaggio verso Treblinka.

Che scherzo beffardo gli giocò la vita, a lui, che scrisse la prima carta dei diritti dei bambini all’interno della quale contemplò il diritto alla morte del bambino, a lui, che stette sempre al fianco dei deboli, degli infanti.

A lui toccò in destino di accompagnarne 200 verso la morte.

Il 5 agosto 1942, Henryk Goldszmit, in arte Januzs Kocrzak, non si ritrasse di fronte ad un destino evitabile, lui era tra quelli che volevano salvare, i suoi bambini no e lui non li abbandonò.

Quando mi chiedono a quali pedagogisti mi ispiri lui è il primo della lista, senza esitazione alcuna.

Poche storie mi emozionano come quella di Korczak, con un’intensità che non si affievolisce, ma guadagna in potenza, mentre aggiungo dettagli, informazioni, scoperte.

Lo scoprii per caso anni fa durante la giornata dei diritti dell’infanzia e l’adolescenza, alla radio stavano leggendo frammenti dei suoi testi.

Immediatamente fermai la macchina, toccata come non mai e scrissi il suo nome.

Stavo tornando dall’università, tornai indietro e mi fiondai in biblioteca a cercare qualche suo testo. Ne trovai uno vecchissimo, aveva addirittura le pagine da tagliare ancora, nessuno lo aveva mai letto.

Come un tesoro lo portai a casa, tagliai le pagine col cuore in mano ed iniziai a leggerlo. Ogni pagina era un’esplosione di emozioni sconvolgenti. Uno schiaffo ed una carezza, parlava il linguaggio della verità, di chi non cerca di compiacere il lettore, di chi sa che è fin troppo poco il tempo di un educatore per poterlo perdere adulandolo.

Raccontava la verità con un linguaggio pieno di poesia, di incanto, di sogno.

La più bruta verità senza mai scadere nella tragedia.

Decisi di copiarlo a mano, non poteva esser fotocopiato, ai miei occhi appariva come una blasfemia. E così iniziai la mia piccola esperienza di amanuense, in quaderni vari ho copiato “come amare il bambino” di Janusz Korczak, il più sincero e bel libro che sia mai stato scritto riguardo l’educazione, i bambini, i maestri, i genitori.

Un condensato di saggezza come raramente se ne trovano.

A lui devo tutta la mia ispirazione, è lui che troneggia tra le mie divinità pedagogiche.

A lui devo molte delle consapevolezze legate ai bambini.

A lui devo molte cose, la pazienza, la ricerca, la solitudine della verità, la passione, l’ardore del cambiamento.

Janusz era medico e pedagogista. Era uomo di grandissima cultura ma soprattutto di gran cuore.

Aveva aperto un orfanotrofio, il più bel orfanotrofio che attirò le attenzioni del panorama educativo europeo, una piccola repubblica la chiamavano.

I bambini vivevano in autogestione, con tanto di giornale con corrispondenti da tutta la Polonia, il tribunale, i tutor e la posta interna.

A mio avviso la più commovente esperienza dello scorso secolo.

Korczak fa parte di quella che definisco pedagogia sotterranea, quella che pochi conoscono, quella di cui pochi parlano e quella più interessante ai miei occhi.

L’orfanotrofio che era ospitato in una struttura di lusso, perché i bambini hanno il diritto alla bellezza, era stato spostato nel ghetto.

Da lì Korczak continuò il suo lavoro, senza mai darsi per vinto, senza permettere ai nazisti di rubar loro anche quegli ultimi giorni. Continuavano gli spettacoli teatrali, i racconti, la musica, i sorrisi.

Continuarono fino al 5 agosto 1942, fino al giorno in cui furono condannati a morte.

Oggi, 22 luglio, è il compleanno di Korczak.

Oggi, domani e per sempre lo festeggerò.

Oggi, domani e per sempre continuerò a diffondere la sua opera.

Oggi, domani e per sempre lui per me rimarrà esempio, faro, luce, desiderio di avvicinarmi anche solo un po’ alla sua grandezza.

Grazie Henryk.

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