Illustrazione: Federica Bordoni 

Io non so cos’è la vita, figuriamoci se so quale sia il miglior modo per viverla.

Ma la sento.

Sento che va onorata, protetta, custodita, difesa.

Guardo la natura e cerco di imparare da essa.

Le api, le formiche, le termiti, lavorano in branchi, gigantesche civiltà primitive e moderne che lavorano alacremente per la vita.

La vita di ciascuna è la vita di tutti, e non è una questione patriottica ma di sostanza.

Io esisto perché noi esistiamo.

Noi esistiamo perché ciascuno di noi esiste.

Lo fanno le piante che depurano la nostra aria.

Lo fanno i coralli che depurano i nostri mari.

Lo fanno le prede e lo fanno i predatori, mantengono l’ordine e l’armonia dell’universo.

L’universo funziona come il nostro organismo, si dilata e si contrae ed è in questo opposto che si insinua la possibilità di esistenza.

Dobbiamo la vita alle incredibile circostanze funamboliche che tengono assieme miliardi di bisbiliardi di fantamilioni di molecole e atomi, e noi che facciamo?

Ci mettiamo al centro di noi stessi, della società, dell’universo, della vita. Spazziamo via un cosmo intero pensando di esserne al centro, alla faccia di Copernico.

Ci mettiamo al centro dell’infinito come se questo potesse bastare, ed è qui che nasce il dolore, la spaccatura muta che ci devasta. Vogliamo la libertà e diventiamo egoisti, predichiamo il bene comune e ci chiudiamo dentro casa, aneliamo alla collaborazione ma solo se la direzione è dagli altri verso di noi.

Non possiamo esistere senza gli altri, una banalità che per quanto banale viene scartata, ridicolizzata, rifiutata e scartata.

La nostra salvezza è una salvezza collettiva ed è vero anche il contrario.

Il problema di uno è il problema di tutti.

Nulla ci dà il diritto di erigerci sopra la società, le civiltà, l’umanità.

Noi siamo l’umanità.

Non pensate sia ridicolo, quantomeno riduttivo e un po’ semplicistico pensare che le nostre vite siano state disposte e create per seguire il flusso della mediocrità? Scuola, lavoro, mutuo, pensione e lamento?

Io vorrei di più, voglio credere che esistiamo per il bene comune.

Decido di porre la mia fede nella collettività.

Punto tutto sulla religiosità dell’umano.

Se il divino è in noi io prego per i bambini, le donne, gli uomini.

Prego per gli assassini, per i ladri, per i disperati.

Prego affinché la nostra umanità ci aiuti a non commettere gli stessi errori.

Prego affinché il nostro operato sia bene comune, non mero interesse personale.

Prego affinché si inizi a intravedere che gli unici investimenti utili e sensati sono quelli volti all’umano.
Che ve ne fate di conti in banca stellari? Di ville chiuse abitate da ragni? Che senso hanno i guardaroba da migliaia di euro?

Non vi salveranno dalla finitezza, non copriranno i vostri vuoti, non salderanno le vostre voragini.

Se ci salveremo sarà solo perché lo avremo fatto assieme.

Investiamo sul futuro, l’investimento sicuro non è quello del mattone, non sono i lingotti d’oro, ma l’infanzia. Cresciamo uomini moralmente sensati, che questionano, che mettono la collettività al centro. Circondiamo l’infanzia di bellezza, di stupore, di sguardi sbalorditi, di semplicità e sorrisi.

Le nostre vite non hanno valore disgiunte dalle altre e se la gravidanza è la gestazione del bambino il bambino è la gestazione dell’umanità.

Come poniamo attenzione alle donne gravide a non somministrare cibi non adatti, situazioni non consone, emozioni non eccessive, poniamo la stessa attenzione durante la crescita dei bambini.

Loro, divinità metropolitane, che ci riempiono di commozione, guardate come ci osservano.

Da noi imparano ad essere, a convivere, a scegliere.

Prendo spunto dalla natura, mi vesto da ape operaia e lavoro per la colonia.

La mia vita ha senso solo per la comunità.

Non ci sono fini personali, non ci sono accumuli che poi crollano, non servono spinte ma mani tese, non serve odio ma amore, non serve distanza ma vicinanza.

Osservo gli anziani in questi giorni di caldo, quelli che vengono parcheggiati nei terrazzi, sulle balaustre, nei porticati a prendere il fresco.

Li osservo nella loro mesta quiete. Che penseranno? Avranno capito loro? A che serve la saggezza quando non hai più nessuno che ti ascolta? Quando non hai più esperienze da fare? Quando non puoi più metterla a servizio dell’azione e della vita?

Li osservo e cerco di essere saggia ora, che la vita è un soffio.

Scommetto sull’infanzia, scommetto sul nostro futuro attraverso loro.

Piena di gratitudine per averla ricevuta, cerco di aiutare la vita ad avanzare.

Non sono migliore di nessuno.

Non ho maggiori diritti, né maggiori doveri.

Ma sono adulta, e non aspetto che qualcuno faccia ciò che è giusto.

Sto lavorando ad un progetto ambizioso, di rinascita, di lettura del presente, di trasformazione, di collaborazione e vita comune.

Sto lavorando ad una scuola-sciame, cerco operaie, fuchi, miele che ci sostenga e riparo dai predatori. Presto l’arnia sarà pronta per poterla raccontare, presto sarà bene comune.

Sono un’ape, e l’unica cosa che posso fare è lavorare per la vita.

La vita mi attraversa, non mi appartiene.

La vita ci attraversa, non ci appartiene.

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