Un fatto di cronaca recente avvenuto nel mio paese mi spinge a scrivervi una preghiera di ascolto verso i bambini che avete accanto.
Il fatto in questione parla di un bambino di 3 anni che inizia la materna. Dopo un anno il suo comportamento cambia. Il bambino è più irrequieto, agitato a detta delle maestre. I genitori ovviamente preoccupati seguono le indicazioni che il corpo docente suggerisce loro, come un percorso con uno psicologo infantile. Inizia un lungo cammino di difficoltà e incognite, finché la famiglia decide di spostare il bambino, dopo due anni di permanenza in quella scuola. Ed è a questo punto che il piccolo inizia a parlare di botte, urla, punizioni, insulti. I genitori decidono di ascoltarlo, di fidarsi di lui, decidono di fidarsi al punto da denunciare la scuola ed è lì che inizia a fuoriuscire la verità. Le insegnanti cercano di salvarsi, arrampicandosi le une sulle altre, e la salvezza di una diventa la condanna di un’altra. Raccontano cosa vedevano, cosa sentivano, cosa hanno permesso che accadesse, lo fanno senza mezze misure, il risultato è un resoconto agghiacciante. Sono passati 8 anni, sono stata chiamata a testimoniare in tribunale in qualità di maestra che aveva avuto il bambino al nido, ho seguito la vicenda dai racconti dei genitori, dalla loro posizione di sconforto e disperazione, dal loro rimorso di non averlo ascoltato prima quel bambino che lanciava segnali, dalla loro rabbia verso chi ha commesso e permesso tutto ciò.
Cari genitori, questa non è una lettera che deve iniziare a farvi sospettare verso tutte le maestre, ce ne sono di incredibili, di stupefacenti ed eccezionali, ma ce ne sono anche altre che scaricano i loro dolori interiori sui bambini.
Questo è un invito a cogliere ogni segnale che vostro figlio vi invia, a non sottovalutare nessuna frase, nessun indizio, nessuna percezione. I bambini sono portatori di messaggi, lanciano costantemente sos, segnali di fumo, razzi di segnalazione, lo fanno finché ad un certo punto si arrendono se nessuno li coglie mai e non li dicono neanche più a loro stessi. Un bambino che non vuole andare a scuola vi sta inviando una comunicazione che potrebbe essere: “mamma,papà lavorate tanto e stiamo poco insieme”, “non voglio andare in un luogo di cui non vi fidate, mi sento tradito” o “in quel luogo non sto bene”.
Osservateli mentre giocano, quando fingono di essere maestri e mettono in fila bambole e pupazzi, e ricreano l’ambiente scuola. Osservate la qualità relazionale delle insegnanti, non importa se non sia vostro figlio il bambino colpito da atteggiamenti umilianti, coercitivi o psicologicamente violenti, vostro figlio è comunque lì, vede, sente, recepisce, assorbe e il messaggio che riceve è che tutto ciò è normale, è legittimo, e se nessuno interviene allora è forse possibile farlo.
Non è solo la vittima a patire la sofferenza, ma chiunque gli stia accanto. I bambini incorporano paura e terrore, incorporano l’idea che qualcuno possa abusare psicologicamente di un altro essere, che nessuno interviene e soprattutto che se il problema non mi riguarda non mi tocca.
Avete mai letto del caso di Kitty Genovese e dell’effetto spettatore? Chi guarda e permette che un abuso avvenga è uno spettatore apatico.
Se come genitori sappiamo che in classe avvengono episodi di mancanza di rispetto verso dei bambini che non sono nostri figli siamo spettatori, ma questa dinamica non è prerogativa esclusiva dell’ambiente scuola.
Se come adulti vediamo genitori per strada che picchiano i bambini e non diciamo nulla, siamo spettatori.
Se sentiamo i nostri vicini urlare ripetutamente ai loro figli e questi ultimi piangere di terrore, siamo spettatori.
Se sentiamo le nostre colleghe urlare ai loro alunni e chiudiamo la nostra porta siamo spettatori.
Siamo spettatori e poi ci indigniamo quando leggiamo fatti di cronaca.
Siamo spettatori e a forza di guardarci attorno impotenti, spaventati e atterriti smettiamo anche di ascoltare i nostri figli.
Siamo spettatori e forse i tanti, troppi spettatori della nostra infanzia ci hanno spinto a non fidarci più dei nostri sentimenti, dei nostri moti di indignazione, dei nostri diritti, non quelli dello stato, ma quelli inviolabili dell’umanità: rispetto, fratellanza e solidarietà.
Io non ho paura delle riforme della scuola, ho paura della cecità emotiva degli adulti che creano quotidianamente riti di iniziazione mettendo gli occhiali oscurati anche ai loro figli.
Ho paura perché questa settimana ho ricevuto la chiamata di una famiglia disperata che vuole ritirare la figlia (3 anni) dalla scuola dell’infanzia perché le maestre utilizzano urla, minacce e umiliazioni anche di fronte ai genitori, come ad aver smesso di rendersi conto della gravità di ciò che fanno, senza che nessuno dica nulla, genitori disperati compresi. Ho paura perché questa settimana ho ricevuto una chiamata da parte di una mamma di un bambino di 8 anni che vive a scuola un incubo fatto di vessazioni continue, che è stata attaccata verbalmente per strada di fronte al proprio figlio e agli altri genitori e che ha ricevuto da parte della dirigente il consiglio di iniziare a punire il proprio figlio, non di ascoltarlo!!
Ho paura e prendo spunto dal filosofo Jonas che ci invita ad un’euristica della paura. Lo stringo forte questo mio terrore, lascio che faccia nascere la voglia di cambiamento e lo metto in atto. La trasformazione inizia da qui, dalla denuncia, abbracciando la paura che l’ha mossa, e chiedendo agli adulti con cui condivido questa porzione di esistenza nel cosmo di fare altrettanto. Noi passeremo, le nostre vite sono un breve passaggio, la violenza continua invece, grazie a noi che ci facciamo strumenti e ponti. Fermiamola, per i nostri figli, per i figli degli altri, per i bambini che nasceranno e il mondo che li accoglierà. Ricominciamo a farci domande tipo “che senso ha la mia vita? Che scopo ha la mia esistenza su questa terra? Come sono collegato alla vita e a tutti gli esseri?” Sono domande elevate? No, sono la base della costruzione morale di un individuo, educazione di cui siamo carenti.
Fare un figlio non è un atto biologico, ma una scelta di cura e responsabilità altissima verso un’altra vita.
Noi siamo le porte e loro il futuro, noi il ponte e loro la vita che avanza.
Prendiamocela questa responsabilità, guardiamoli, ascoltiamoli, fidiamoci.
Facciamolo per tutti.
L’omertà è la virtù dei codardi, l’infanzia è il perdono della vita.
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