Ci sono pericoli che si annidano nell’ordinarietà, laddove tutto sembra normale, a volte quasi necessario.
“bravo”, “bravissimo”, “sei il numero uno”, sono parole, frasi semplici. Sembrano totalmente innocue, sono cordiali, affabili.
Eppure nascondono una minaccia.
Il bambino dal momento in cui nasce, sa perfettamente che la sua sopravvivenza dipenderà da quegli esseri grandi che ha accanto, che chiamerà mamma e papà, appena i suoi strumenti glielo permetteranno, poi verrano tutti gli altri, zii, nonni, maestri, ecc..
Ogni bambino che nasce sa perfettamente che la principale lotta per la sopravvivenza va combattuta nel campo dell’amore.
Per sopravvivere bisogna essere amati, per essere amati bisogna creare un legame di attaccamento duraturo con la persona amata.
Per farlo il bambino è disposto a tutto.
Da quando nasce il neonato modifica le proprie azioni e comportamenti sulla base delle risposte che l’ambiente gli rimanda.
Quando faccio qualcosa bene, mi vien detto bravo.
Quando mi vien detto bravo gli adulti che ho accanto sono felici.
Quando gli adulti che ho a fianco sono felici tengo stretta la mia vita.
Uguale: gratificare gli adulti produce sopravvivenza, l’amore si guadagna con le prestazioni, se sono bravo sono amato.
E quando gli viene detto bravo?
Solitamente i casi sono:
– rinforzare un comportamento che riteniamo socialmente accettabile (“bravo che ti sei soffiato il naso invece di leccarti il muccio colante!”);
– incoraggiare progressi (“bravo che hai iniziato a leggere”);
– gongolare come genitori (“bravo che alla riunione di condominio sei stato sempre zitto, seduto”, TRADUZIONE “ grazie che noi sei stato petulante e che mi hai fatto fare una splendida figura da BRAVO genitore davanti agli altri”);
– sottolineare positivamente episodi che speriamo che si ripetano in futuro (“bravo che hai mangiato tutti i broccoli”).
Il problema reale e grave di questa parola (e di tutti i sinonimi) è che salta il passaggio dell’azione, ovvero, per rinforzare, sottolineare evidenziare un comportamento o un atto esprime un giudizio sulla persona e innesca il pericoloso e micidiale meccanismo di confusione tra fare ed essere.
Tra essere se stessi ed essere ciò che gli altri vogliono.
Tra fare qualcosa per una motivazione intrinseca ed una estrinseca.
E per favore, non uscite con la storia del “ci siamo cresciuti tutti”, anzi questa dovrebbe l’ennesima prova che qualcosa è andato storto.
Sarà un’impressione tutta mia, ma credo che gli adulti di oggi vivano nella psicosi del giudizio, si autoboicottino per il timore di fallire, cerchino amore laddove stanno solo cercando riconoscimento, confondono se stessi con il proprio lavoro, i propri insuccessi con la propria identità.
Riempire il bambino di lodi, di bravi, di giudizi entusiasti, costruirgli un’immagine di sé elevatissima, ineccepibile è la miglior via per renderlo un adulto fragile, insicuro, spaventato, nevrotico, con un senso di inferiorità costante verso quello standard costruitogli.
La paura di non essere più bravo sarà direttamente collegata alla paura di non essere amato e quindi di non sopravvivere.
Provate a farvi un giro sul libro “il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé”, due pagine al giorno non di più. Alice Miller spiega nei dettagli quali possono essere le conseguenze dell’esser stato dei bravi bambini, ovvero dei bambini estremamente sensibili che sono accorsi in soccorso delle fragilità dei genitori. Sacrificandosi sull’altare dell’amore hanno smarrito se stessi.
Contateli i bravi che dite ogni giorno ai vostri figli, poi contate i bravi che ricercate per voi.
E ora che fare?
Semplice, iniziate a cambiare!! Esercizi per casa: ogni volta che state per dire un bravo pensate per cosa lo state dicendo e verbalizzate il processo mentale completo che avete fatto. Alcuni esempi:
– Giulia vi porta a far vedere un disegno, invece di lodarla provate a dire “Sembra che tu ti sia divertita moltissimo, è così?”
– Se il bravo vi sta uscendo per un nuovo progresso del bambino provate a nominarlo e esprimere la vostra vicinanza, es: Luca ha appena fatto una capriola dopo tanto che ci provava, potete dirle “Che bello che sei riuscito a fare una capriola dopo così tanto esercizio devi essere orgoglioso di te stesso!”;
– la mattina quando lo portate a scuola, invece di dirgli “fai il bravo oggi”, provate a dire “spero che tu trascorra una splendida giornata. Sii te stesso.
Mi raccomando non confondete il riconoscimento e il bisogno di esser visti con la gratificazione dell’adulto.
E’ molto semplice condurre un bambino dove vogliamo noi, è difficilissimo riportare un adulto smarrito da dove tutto era partito.
Quando era pura vita, desiderosa di esserci.
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Splendida spiegazione! Come formatrice Gordon, questo argomento è sempre tematizzato nei corsi genitori efficaci… ma quanta fatica… quel bravo è ormai nel nostro dna….
Magnifica riflessione. Complimenti
Brava! Bella spiegazione
il “brava” era una battuta ? 😉
Mah..
Bellissimo articolo! Ci sono tante cose da rivedere nel modello educativo.ma questo modello che sugrrisci dovrebbe attraversare genitori ma anche gli insegnanti (un’altra immagine cardine dei bambini)! Si parte dai genitori, ma è necessaria una continuità anche con le altre figure che ruotano attorno ai bambini. Uun briciolo in piú di consapevolezza, quella volontà di mettersi in discussione, quel piccolo sforzo nel fare quel passo in più…e saremmo di fronte a individui sani.
Questo scritto trasuda ignoranza e incapacità logica da tutti i pori. Fra l’altro ignoranza, nella migliore delle ipotesi, collusione con i “poteri forti” nella peggiore delle ipotesi. Mi spiego meglio:
il giudizio genitoriale nei confronti della prole ha una valenza estremamente alta, sia nei riguardi del processo formativo conscio che in quello inconscio-sub-conscio. Qualunque adulto sa che “volere è potere” e per volere devi credere in te stesso. Non è tanto importante, quindi, quello che tu sei davvero, quanto quello che “credi fermamente di essere”. E’ un pò la storia del talento e della passione, quando essi non coincidono nella stessa persona. Il successo arriverà certamente per una persona in assenza di talento ma con una fortissima passione e un forte credo in se stessa ma non è detto che arrivi in una persona di talento ma che non ha passione, non si impegna e non crede in se stessa. L’autostima è quindi un parametro indispensabile nel consolidamento della personalità dell’individuo.
Detto questo, bisogna dire che negli ultimi dieci, venti anni in Italia, la politica ( sulla scia di protocolli anglo-americani a dir poco pericolosi ) ha tentato in tutti i modi ( consapevolmente ma più spesso inconsapevolmente) di distruggere l’autostima dei bambini e dei ragazzi italiani ( ricordiamo tutti gli appellativi pronunciati da molti dei nostri politici: bamboccioni, choosy, incapaci, semi-analfabeti, fannulloni etc. ), propugnando in maniera spesso indiretta ( con esempi mediatici sbagliati ) l’adozione di comportamenti deleteri per la personalità come l’uso di alcool, droghe etc.
L’alienazione data dai social network, la cagionevole salute dei ragazzi di oggi (allergie, intolleranze, psicosi diffusissime ), bullismo diffuso, droghe, alcool, associate a questi pseudo-protocolli che pretendono di togliere anche l’ultimo baluardo al consolidamento dell’autostima dei nostri ragazzi, ovvero l’elogio del padre e della madre nei confronti della prole e quindi il “BRAVO” al figlio, hanno un solo scopo vero:” Creare adulti fragili, privi di autostima e quindi incapaci di opporsi alle ingiustizie e in definitiva schiavi facilmente manipolabili).
Gentile Loris, grazie per la tua analisi. Non ho chiari alcuni passaggi ma ci penserò su. Ti auguro di trovare tanta serenità.
meno male che l’hai scritto… concordo pienamente
Io sono una figlia cresciuta a “brava” e “bravissima”, e sono un caso esemplare di bambina afflitta dal dramma della perdita di sé a beneficio dei genitori, come ben spiegato nel libro di Alice Miller, che ho letto a 20 anni, nel pieno guado della mia storia di anoressia, bulimia e depressione.
Condivido il Bravo è importante quando si premia un lavoro del bambino, non certo per dirgli bravo che sei stato zitto, insomma ci sono i bravi manipolatori e i bravi che aiutano l’autostima. Per piacere non facciamo confusione.
Non sono per niente d’accordo. Io vedo invece molti adulti fragili cercare gratificazioni ed elogi proprio perché la loro autostima è stata distrutta dai genitori, avari di “bravo” e generosi di “hai fatto metà del tuo dovere”. Vedo invece molti adulti cresciuti nel mito di se stessi grazie anche a genitori che hanno insegnato loro che mai, mai avrebbero dovuto ritenersi inferiori a chicchessia. Formare un bambino con una grossa autostima è un regalo per il suo futuro. Io, almeno, lo avrei davvero apprezzato.
A me sembra che stiamo parlando della stessa cosa. Una riflessione sulla questione della costruzione dell’autostima e della propria identità sulla base del giudizio degli altri, sia che questo sia positivo (bravo) che negativo (hai fatto metà del tuo dovere). Da quello che scrivi sento molto rancore e rabbia verso i tuoi genitori, non conosco la tua situazione e dallo pseudonimo che hai inserito non mi sembra di percepire che tu sia alla ricerca di un confronto aperto in questo contesto. Sento la tua fragilità e mi spiace. Immagino che tu ora sia adulta e come tale puoi scegliere di essere ciò che vuoi, liberandoti dall’educazione che ti è stata impartita. Dalla consapevolezza nasce il cambiamento, il punto è metterci la propria volontà…tanti auguri, di cuore.
Mi permetto di intervenire perché è un tema che sto approfondendo (avevo scritto un articolo qualche mese con lo stesso punto di vista). In questo scambio di commenti, potrebbe esservi utile studiare la differenza tra autostima e fiducia in se stessi. A me ha aperto molte prospettive: https://www.google.be/amp/s/tanaliberapertutti.com/2018/01/05/autostima-e-fiducia-in-se-stessi/amp/
Il senso dell’articolo è di mettere al centro della gratificazione il bambino, e non, indirettamente, l’adulto.
E’ facile che un semplice “bravo” sia interpretato dal bambino come: “sto facendo felice la mamma/il papà. Costi quel che costi, non dovrò mai deluderli.” L’accortezza sta nel far passare al bambino il concetto che, quando fa qualcosa di buono o si comporta secondo le regole, il principale avvantaggiato è lui stesso, perché si è impegnato ed ha imparato una cosa che prima non sapeva o non sapeva fare, perché si è divertito realizzando qualcosa di creativo, perché ha fatto un progresso di crescita. Non è da bandire il “bravo”, ma andrebbe accompagnato da “sono felice per te, per questa ragione”. In questo modo il bambino imparerà a concentrarsi sulle proprie emozioni, sui suoi bisogni, sui suoi traguardi e sui suoi limiti, e a costruire un’autostima solida e indipendente dal compiacimento degli altri.
Anch’io non sono d’accordo. Ho ricevuto poche volte il Brava! E mi manca. Stavo facendo lo stesso errore con mio figlio di tre anni. Ho già riparato. Glielo dico cento volte al giorno!
È importante far capire come ciò si deve comportare tutti e gratificare certo non solo dicendo bravo come negli esempi che hai fatto. Se mio figlio impara a togliersi le scarpe e metterle a posto a due anni e mezzo, sono felice e lui comprendo che lo faccia per rendere felice me o per imitarmi. Quindi posso dirgli grazie ma anche bravissimo la prima volta che lo fa. Certo non glielo continuo a dire da sei mesi!
Partire unicamente dalle proprie storie può esser pericoloso, cercando di mettere in atto ciò che a noi è mancato il rischio è di perdere di vista ciò che serve a nostro figlio. Bravo è una parola, non un tabù. Sospenderla permette di comprendere il processo per cui la usavamo per prenderne consapevolezza e poterla usare con moderazione e senso. Sono felice che tu abbia trovato il giusto equilibrio, grazie per la tua testimonianza.
Sono molto d’accordo con quanto hai scritto in questo articolo, Emily.
Io mi occupo di relazione tra umani e cani, e la questione del “bravo” da te descritta è la stessa che cerco di far capire agli umani.
Mi permetto di intervenire perché è un argomento al quale tengo molto. Emily ha descritto molto bene quale può essere “l’effetto collaterale” dei troppi bravo e bravissimo. Sopratutto che è un giudizio del bambino in quanto persona, non tanto di quello che ha fatto. E se è bravo quando fa bene, che cos’è quando “fa male” o non fa ciò che vorremmo noi? Emily offre anche l’alternativa alla parola bravo. E questo è importante recepirlo. Lei non dice di non dare conferme e gratificazioni ai bambini. Ma darne in modo diverso. Vorrei aggiungere un esempio riprendendo quello di Valentina: al bambino che riesce a togliere le scarpe da solo, o mettersele, invece di dire bravo, posso anche dire, “mi fa piacere vedere che riesci a togliere le scarpe da solo”. Oppure: “Wow! Ci sei riuscito da solo!” Vedete dunque che anche così si sostiene lo sforzo, l’impegno del bimbo.
Ma quello che vorrei dire alle persone che pensano che i loro genitori avrebbero dovuto dire loro più spesso “bravo”, è che più che l’assenza del bravo, sono la critica costante, il giudizio, la squalifica che minano l’autostima dei bambini e di conseguenza degli adulti. Quella sensazione di non bastare mai, di non fare mai abbastanza, che manca sempre qualcosa. Ecco che questo ti dà per tutta la vita la sensazione di non essere all’altezza, di non andare bene così come sei…. L’accettazione incondizionata è quello che i genitori dovrebbero trasmettere ai propri figli. E badate bene, questo non vuol dire accettare qualsiasi comportamento, bensì accettare il proprio figlio come persona, come essere umano, con le sue caratteristiche, le sue emozioni e i suoi bisogni.
L’autostima è molto legata al FARE, il valore di sé è legata all’ESSERE.
Esattamente quello che avrei scritto io
Ho letto con interesse ed è un punto di vista poco diffuso e a volte certamente sottovalutato.
Trovo ci sia del vero nel pericolo prodotto dalle lodi eccessive. Ho osservato come spesso, anche a scuola, i bambini più piccoli vengano gratificati con elogi sproporzionati ai risultati raggiunti con l’intento di incoraggiarli e con il risultato di farli cadere in ansia e talvolta disperazione quando, più grandicelli, iniziano a ricevere valutazioni più rigorose che distruggono inevitabilmente l’elevata opinione di se stessi ormai raggiunta.
Se tale comportamento viene portato in atto dai genitori, l’effetto può essere amplificato proprio per i meccanismi descritti, tuttavia dissento in parte.
E’ inevitabile e giusto produrre delle frustrazioni e persino delle inibizioni nei bambini che si stanno educando.
Senza frustrazioni e senza l’inibizione di comportamenti scorretti o pericolosi, la vita sociale è impossibile. L’effetto si può ottenere fondamentalmente in due modi: o con l’esaltazione del comportamento positivo o con la critica di quello negativo, il tutto sovrapposto alle spiegazioni delle motivazioni.
Posto che sfido chiunque a non trovarsi mai a dover affossare comportamenti dannosi o sgradevoli anche in modo categorico, credo sia preferibile e più efficace educare attraverso l’esaltazione del giusto, che non può essere un semplice “bene ti sei divertito”, perché spesso ci sono necessità o obblighi che non sono per niente divertenti, ma da cui non si può scappare.
Se devo insegnare ad un piccolo a riordinare i suoi giocattoli, cerco indubbiamente di fargli capire che avere i giochi in ordine è un vantaggio anche per lui e magari glielo ripeterò se necessario, ma nel momento in cui finalmente lo farà in autonomia, mi troverò indubbiamente a lodarlo. E se anche per il bambino non fosse un vantaggio, ma avesse semplicemente assolto ad una consegna, dirò ugualmente bravo per aver obbedito, perché desidero che l’obbedienza sia un comportamento costante e non funzionale all’obiettivo.
Non vorrò un animaletto ammaestrato, ma vorrò comunque avere un figlio capace di obbedire, che di fronte ad un ordine perentorio (ad esempio un: “fermati!” di fronte ad una strada trafficata) esegua senza discuterne in comitato.
Si parla spesso di dare le giuste regole ai figli, cosa che ritengo fondamentale per una futura vita sociale vincente e per la loro serenità, e queste passano attraverso i “bravo ti sei comportato bene”, i “no, così non si fa” il tutto immerso nell’amore per ciò che sono. Se i bambini piccoli fanno confusione ed è normale che lo facciano, verrà loro spiegata la differenza a parole e coi fatti, ma credo che mettere le gratificazioni al bando sia pericoloso quanto darne troppe o darne per le ragioni sbagliate.
Se le necessità e gli obblighi del vivere quotidiano vengono insegnati come una sorta di disciplina militare ( a comando devo ubbidire) non penso che si verrà proiettati in una vita sociale vincente, bensì in una vita dove ” se non fai quello che dico sarai un perdente”. Si vuole creare un modello privo di autonomia capace solo di ubbidire alle richieste esterne senza chiedersi nulla perché chi esprime il comando a solo un credo e pensa che sia l’unica verità. Mi spiace per chi ne è convinto perché ognuno di noi ha le proprie verità se fin da piccoli vengono stimolate a venir fuori. Penso che molti adulti hanno paura di affrontare una discussione dove si metta in gioco la propria verità magari per paura di guardare i propri fantasmi sotterrati da ormai tanto tempo perché forse quegli adulti hanno avuto altri che pensavano a posto loro . Tutti tendiamo a dare delle regole per esperienza personale o perché un adulto la fatta prima di noi , ma dobbiamo secondo il mio punto di vista accompagnare i nostri ragazzi a fare anche la loro esperienza anche se non ascoltano il nostro sapere perché altrimenti rischiamo di farli sentire inadeguati e di conseguenza dei perdenti. Accompagnare i loro traguardi con un sorriso e accompagnare le loro sconfitte cercando di incoraggiarli a riprovare, la nostra esperienza va raccontata e non imposta, le nostre storie hanno fatto crescere noi e la loro storia farà crescere loro. Tutto questo si chiama esperienza che ognuno deve toccare e nessuno la può insegnare. Se un bambino impara qualcosa di nuovo la prima cosa che cerca è lo sguardo dell’adulto se invece non riesce in qualcosa il bimbo chiede la mano. Forse noi adulti dovremmo guardare un po’ di più i bambini e imparare da loro.
Elisiana il tuo discorso potrebbe anche essere giusto ma bisogna anche capire a monte che ci sono umani più portati a fare delle cose e altre no e non a tutte le età. La sopportazione della frustrazione e dei “no” non si crea facendo vivere momenti pesantemente negativi, anche qui è una questione di età.
Bisogna capire che la nostra società è piena di regole perchè viviamo in modo altamente innaturale: più regole dobbiamo creare, più viviamo lontani dalla nostra animalità.
L’impatto sull’avere un bambino che ad un nostro “fermati!” si ferma può essere troppo forte, non è a questo che bisogna puntare secondo me, anche perché esiste sempre il tenerlo per mano. Poi bisogna vedere perchè potrebbe correre verso una strata trafficata cioè se magari ha dentro di se una energia da scaricare perchè la sua vita non è appagante ma anzi molto stressante in casa.
I bambini sono assoggettati a troppe regole fin da piccoli, è normale che poi da adulti scoppino.
“..spiega nei dettagli quali possono essere le conseguenze dell’esser stato dei bravi bambini, ovvero dei bambini estremamente sensibili che sono accorsi in soccorso delle fragilità dei genitori. Sacrificandosi sull’altare dell’amore hanno smarrito se stessi.” Questo si chiama ATTACCAMENTO INVERTITO e poco ha a che fare con un bravo detto a un figlio.
Gentile Marialuisa, sono certa che non possa essere unicamente una parola ad innescare una dinamica simile. Ciò che volevo evidenziare è il processo nascosto dietro la comunicazione. Quello che scrivo è frutto di studi ma soprattutto dell’esperienza professionale vissuta in questi anni. Mi farebbe molto piacere confrontarmi privatamente con lei per un arricchimento reciproco, riguardo ciò che ha potuto osservare dalla sua esperienza lavorativa. Nella sezione contatti trova la mia mail. La ringrazio per il contributo e spero di sentirla presto.
Sono mamma di due bambini piccoli, di 4 e due anni, e quello affrontato è un tema che mi è molto caro, al quale rifletto quasi quotidianamente. Intuitivamente, senza particolari conoscenze della materia, mi sono resa conto dell’impasse, come dicono in francese, data dal “bravo”, e la condivido. La mia impressione, tuttavia, è che la situazione sia più complessa e meno facile da sgarbugliare. Mi spiego: pur non verbalizzandolo, il giudizio si nasconde nei nostri occhi, nell’attenzione che diamo a certe cose che i nostri figli stanno facendo, nel tempo che dedichiamo a certe attività, piuttosto che ad altre. Per un bambino è maledettamente difficile crescere “libero” dai nostri giudizi e dalle nostre propensioni, perché non è necessario che esse vengano espresse. Forse riuscirò a spiegarmi facendo il mio esempio personale: mio malgrado, io giudico tutto; non vorrei, mi sforzo, ma inevitabilmente lo faccio. Poi mi fermo, rifletto, modero, ritratto, ma il giudizio c’è. Sono esigente, con me stessa, e ahimè, inevitabilmente coi miei figli, anche se non lo dico: non dico loro bravo, eppure loro sentono la pressione che si cela dietro questa parola. Pronunciare o non pronunciare la parola, dunque, serve, ma relativamente. E vorrei sbagliarmi.
“provate a dire “spero che tu trascorra una splendida giornata. Sii te stesso.
Mi raccomando non confondete il riconoscimento e il bisogno di esser visti con la gratificazione dell’adulto”.
Ma davvero si parla così ai bambini??? Non significa già trattarli da adulti?
Non sono proprio d’accordo con l’articolo. Anzi. L’unico modo per essere un bambino/adulto sicuro è avere un genitore dietro che ti fa sentire tale.
Quando si ama e si dicono parole d’amore, non si sbaglia mai!
che cumulo di idiozie
Troppo cervellotico.
Ciao! Intanto complimenti per i bei articoli. Quanto a questo,solo una precisazione:se non ricordo male, nel libro (illuminante) della Miller,si poneva l’attenzione non tanto sui “bravo” detti per comportamenti ritenuti adeguati,quanto piuttosto su tutti i musi e i ricatti morali per comportamenti non in linea con le aspettative egoistiche dei genitori… Da profano,ci vedo una bella differenza e ti confesso che non so immaginare una relazione in cui in qualche caso non si spenda qualche “bravo”.
Premetto che sono solo un inesperto genitore di una splendida bimba, ma solo a me in tutto questo ci sono almeno due cose che non tornano?
Da una parte non mi torna l’importanza che viene data alle parole nella comunicazione con un bambino, dall’altra vedo perdersi l’educazione sociale.
Prima di criticarmi, lasciatemi spiegare.
Partiamo dalle parole.
Tra due individui più del 90% della comunicazione è non verbale (sorrisi, tono di voce, gesti) e con i bambini la percentuale è anche più alta… eppure in questo articolo non vi si fa alcun riferimento.
Non dimentichiamoci che i bambini comprendono il significato positivo di “bravo” proprio dal non verbale: dalla gioia della madre mentre lo dice, ad esempio.
Quante volte i nostri figli hanno rifatto qualcosa solo perché ci ha fatto ridere? Non gli è servito un “bravo”: la nostra risata, il vederci felici, è stata una gratificazione sufficiente a portarlo a rifare qualcosa.
Pensate che il tono orgoglioso e felice con cui direte a vostro figlio “sei felice di quello che hai disegnato?” non abbia influenza sulla sua risposta e non sia già esso una gratificazione?
Veniamo all’educazione.
Personalmente penso che sia mio compito da genitore educare mia figlia sia a comprendere le proprie emozioni che a comprendere la nostra cultura e relazionarsi con gli altri. In questo penso sia essenziale fornirle gli strumenti necessari per valutare ogni sua azione sia in base alle emozioni che prova che in base alle emozioni che induce sugli altri e ai concetti di giusto o sbagliato propri della nostra cultura e società. In questo processo educativo dare un riscontro positivo o negativo (opportunamente contestualizzato e spiegato) è necessario per il bambino: l’assenza di riscontri e spiegazioni porta il bambino all’insicurezza.
Se mia figlia dovesse disegnare qualcosa di offensivo per un altro bambino o di inaccettabile dalla società che senso avrebbe chiederle se è felice? Forse sarà felice, ma deve capire cosa comporta ciò che ha fatto.
Se mia figlia prende in giro un compagno deve comprendere che anche se la cosa la diverte, il suo compagno soffre per colpa sua e ciò è sbagliato.
Se mia figlia ruba un peluche deve comprendere che, anche se è felice di avere un giocattolo nuovo, ciò che ha fatto è socialmente inaccettabile.
Io vorrei una figlia che se vede un compagno che ha fame sia pronta a darle metà della sua merenda anche se questo la rattrista. Perché la felicità è anche fare qualcosa anche solo per vedere un sorriso degli altri o sentirsi dire “bravo”.
Non tendiamo sempre ad estremizzare. Io ho 51 anni e sto ancora aspettando che i miei genitori mi dicano un “brava”, sono sempre in attesa di approvazione, che non arriva mai.
.”Se cresci senza nessuno che ti dica che sei bello o che sei bravo, senza una parola di conforto che ti rassicuri dandoti il tuo posto al sole nel mondo, niente sarà mai abbastanza per ripagarti di quel silenzio.
Dentro resterai sempre un bambino affamato di gentilezza, che si sente brutto, incapace e manchevole, qualsiasi cosa accada.
E non importa se, nel frattempo, sei diventato la più bella delle creature.”
(Ferzan Ozpetek,“Sei la mia vita”)
Libellula, e ti sembra normale che a 51 anni aspetti ancora? Io ne ho conosciuta una di 70. Personalmente non sono d’accordo con quella frase di Ferzan Ozpetek perché non è la mancanza dei “bravo” a renderci affamati di gentilezza ma probabilmente una serie di comportamenti negativi che hanno lasciato il segno e che pensi possano ridurre l’effetto che hanno avuto su di te se sostituiti con dei “bravo”.
I consensi lasciamoli alle logiche di mercato capitalistiche, ovvero a quel Sistema con cui si possono fare più soldi se si ha un’attività in proprio.
Non dobbiamo permettere alla vita interpersonale e sociale di farci sentire meglio (migliori) o peggio (peggiori) a seconda di quanti “like” GLI ALTRI ci danno.