Nella flessibilità e apertura che la pedagogia mi ha imposto in questi anni ho avuto l’occasione di scorgere tra i movimenti dei bambini e dell’educazione alcuni tratti stabili, alcune regole e organizzazioni ripetitive.
Talmente ripetitive che a mio avviso ci è concesso parlare di assiomi.
Il primo di questi può essere enunciato così: “ogni qualvolta prendi in carico un bambino stai prendendo in carico un sistema familiare”.
Ogni bambino pesa più dei suoi anni, ha con sè il peso di generazioni, di conflitti aperti, di missioni incompiute, di segreti da temere.
Ognuno di loro deve essere considerato per questa truppa che lo accompagna sempre, costantemente.
Sia che vada un’ora a calcio, sia che stia 8 ore a scuola, sia che vada da un amico a giocare.
La vera libertà non riguarda il poter scegliere o meno con che cosa giocare, cosa studiare o se leggere sdraiati o inchiodati ad una sedia.
La vera libertà riguarda i pesi genealogici dai quali solo gli adulti che hai accanto possono sollevarti e liberarti.
Il vero rispetto non riguarda la possibilità di avere un voto a testa in assemblea, di esser trattato con quiete e pazienza, non solo.
Riguarda soprattutto la lungimiranza degli insegnanti di cogliere gli antenati che aleggiano dietro ciascun bambino.
Pietro non ha un disturbo oppositivo-provocatorio, Pietro ha un padre che lo picchia, che lo umilia e lo obbliga ad esser grande.
Martina non è solo una bambina leader, che obbliga le altre a fare ciò che dice lei, che plagia e trama nella nebbia. A Martina è chiesto di esser madre della propria madre, dei propri fratelli e sorelle.
Luca non è un bambino violento aggressivo che usa le mani appena può. Luca conosce solo il linguaggio della violenza, sono generazioni che nella sua famiglia la frase “due schiaffi non hanno mai fatto male a nessuno”, accompagna l’infanzia di ogni bambino. Per lui l’amore è legato alla violenza,così è stato espresso e così continua ad esprimersi.
Giulia non è una bambina silenziosa, taciturna, che si ritrae e sta in disparte. Nella sua famiglia è successo qualcosa di spaventoso, per proteggerla nessuno glielo vuole raccontare, credono che il silenzio sia la miglior difesa. Lei ha colto il messaggio e non chiede, non parla, si rintana nel suo mondo di sospiri e sguardi.
Alessandro non è iperattivo, ha una madre che lo picchia fino a causargli il vomito, che lo chiude in camera al buio, che gli spinge gli occhi nelle orbite. Vuole esser visto, disperatamente. Vuole esser amato, e per farlo accetta i flagelli dell’amore.
Sarebbe bello che questi esempi fossero di fantasia.
Mi piacerebbe poter dire che sono esempi tratti da comunità dove il disagio è elevato e distante da ciò che conosciamo.
Invece no, purtroppo sono esempi reali, di quotidiana drammaticità.
Se li guardate i bambini, se permettete loro di esprimersi queste storie ve le raccontano tutte.
Non fanno altro che mettere in scena i loro fantasmi, i loro sistemi, i loro cicli dell’amore e del dolore.
Lo fanno giocando, lo fanno usando gli altri, i pupazzi, le costruzioni e i peluche.
Lo fanno senza esserne pienamente consapevoli, ed in quella ingenuità c’è tutto il potere della guarigione.
Inscenano suicidi, morti, parti, abbandoni, violenze, amori soffocanti, prigionie e fughe.
Il segreto dell’infanzia è nei bambini, non nei testi accademici.
Per comprendere i bambini è sufficiente osservarli e prendere in carico le loro storie.
Per esser salvato un bambino ha bisogno di un testimone.
Ogni adulto annientato è stato un bambino scivolato tra le mani di numerosi maestri, professori e professionisti dell’educazione che hanno deciso di chiudere gli occhi, di non collaborare alle indagini.
Il reato di omissione di soccorso andrebbe introdotto anche nella scuola, quando invece di vederne 200 si decide di vederne solo 20.
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