Ci sono vuoti che lasciano radure secche dove lentamente l’erba riparte in tutta la sua potenza e rivoli di rugiada nutrono i germogli.
Quei vuoti li lascia un incendio, una bomba, una guerra, o un lutto.
Essere la tomba del proprio figlio, un mausoleo materno, di latte mai sgorgato, di contatti mai dati, di sguardi attesi, di suoni che sprofondano nel vuoto di uno stomaco vuoto, cavo, può essere un privilegio.
Il dolore da adulti può essere chiave, passaggio, giro di boa tra tanti possibili, via, treno, porta, portone o tappeto volante.
Tutto ciò a patto di guardarlo in viso, senza distoglierne lo sguardo, con gli arti che tremano, con le lacrime che impetuose cercano un varco. Tu, non perderlo mai di vista.
Provate a immaginare di tuffarvi in una piscina dal punto più alto della torre dei tuffi, voi magari eravate andati su solo per vedere il panorama, o sentire la brezza, o cercare risposte guardando meglio dall’alto, poi una spinta, o una scivolata accidentale, insomma, cadete giù.
L’altezza vertiginosa vi scaraventa giù, giù, giù, fino agli abissi della piscina, così profonda che non vi stupireste di incontrare qualche pesce preistorico. Vi manca l’aria, pensate di non farcela, siete invasi dallo sconforto, dalla sconfitta. Quand’ecco che i piedi toccano il fondo, la disperazione e l’istinto di sopravvivenza e conservazione radunano le ultime forze, spingete forte sul fondo ed eccovi salire, rapidamente, disincantati assistete come spettatori a ciò che vi capita attorno. Bolle, luce, la calda disperazione impressa in ogni vostra cellula assume le tinte della speranza.
Uscite dall’acqua e vi librate nell’aria.
Alcuni dolori sono esattamente come il tuffo dalle altezze vertiginose.
Non è l’entità dell’evento, quanto la possibilità che ognuno si concede di affondare.
E quando accetti la morte, qualcosa dentro te muta profondamente, come un lungo biacco nella foresta, scivola lentamente fuori dalla vecchia pelle, abbandonandola senza necessità di trattenere nulla.
La muta impone nuovi parametri, nuove misure, nuovi pesi e movimenti.
Allora la vita la manipoli con la cura e la delicatezza di un corallo, ne riconosci lo splendore, impari a capire che trattenerla è un misero vezzo ornamentale, ne conosci il punto di rottura e la friabilità.
Perdere un figlio mai nato capita più spesso di quanto non se ne parli.
Ti verrà detto di attendere il terzo mese per comunicare la tua gestazione e se prima di questa data il suo cuore cessa di battere, il tuo sembra farlo con il suo. Il dolore sprofonda nel silenzio, nel segreto incandescente che custodirai per sempre.
Ti verrà detto che è un evento naturale e che avviene al 60% delle donne, 1 gravidanza su 3, e di non rimanerci male. Tutto questo ti verrà detto mentre sarai a gambe aperte e cercherai di trattenere i singulti del pianto per permettere alla ginecologa di estrarre l’embrione freddo.
Ti verrà detto di riprovarci subito, che chiodo schiaccia chiodo. Nessuno in ambito scientifico si sognerebbe di dirti di aspettare almeno il termine previsto di quella gravidanza interrotta, per lasciare a ciascuno il suo spazio, a ciascuno la sua storia.
Ti verrà detto di fare il raschiamento, che in 5 minuti tutto sarà come prima. Nessuno si vorrà assumere la responsabilità di lasciare al tuo corpo la sua saggezza, la sua capacità di ripristinare la camera per il prossimo ospite con tutto il tempo che queste operazioni necessitano. Certi dolori fisici devono procedere di pari passo a quelli interiori, toglierne uno crea un collasso, un avvallamento nella psiche. Quel figlio lo partorirai e anche se le sue dimensioni non superano i 5 cm, sarà il parto più doloroso e benefico di tutta la tua vita, perché dovrai decidere di lasciare andare, di non trattenere.
Ti verrà detto di non poter tenere l’embrione, che devono analizzarlo e ti attaccherai alla vana speranza che qualcuno ti spieghi il perché sia accaduto. Questa speranza verrà sbriciolata quando dopo mesi, dopo aver provato a risollevarti aprirai una lettera in cui tuo figlio verrà definito come “materiale endometrioso di colore marrone”.
Ti verranno dette tante cose, e tante parole non saranno mai pronunciate per paura di affrontare il discorso.
Ma tu non credere a tutto ciò.
Tu celebrala quella vita. Prepara un quadro, aggiungilo alle foto di famiglia.
Ricordati di lui o di lei quando conterai i tuoi figli e gli dirai l’ordine delle loro nascite .
Ricordati che quel dolore ti sarà utile, che ti farà accedere ad una parte nascosta dell’umanità.
Quel bambino morto non è un bambino che non c’è mai stato. Il fatto che non sia nato non fa di lui un figlio di minor valore.
Tu lo sai, non farti ingabbiare nelle statistiche.
La sua vita è perfetta, è andata esattamente come doveva andare, altrimenti sarebbe andata in un altro modo.
Stringi quel dolore, vai a fondo e risorgi.
Impara dalla rondine e dalla sua saggezza e leggerezza con cui accetta la caduta di un uovo dal nido.
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